COMMISSIONE II GIUSTIZIA
Resoconto stenografico
Seduta di martedì 26 gennaio 2010
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, ai sensi dell’articolo 143, comma 2, del Regolamento, l’audizione del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, dottor Stefano Aprile, in relazione alle misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia di cui all’articolo 4 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario.
Nel corso dell’esame del decreto-legge è emersa l’opportunità, segnalata in particolare dall’onorevole Contento, di audire il direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, al fine di approfondire e chiarire alcuni aspetti della disciplina relativi alla digitalizzazione della giustizia.
Nonostante i tempi della decretazione d’urgenza non abbiano consentito di svolgere tale audizione nel corso dell’esame del provvedimento da parte della Commissione, nell’ambito dell’ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi si è, comunque, ritenuto che tale audizione avrebbe potuto essere utilmente svolta in vista dell’esame del provvedimento in Assemblea.
Dottor Aprile, come le avevo anticipato, l’organizzazione dei nostri lavori prevede una sua breve illustrazione dei profili del provvedimento che attengono alla materia della digitalizzazione della giustizia. In seguito, lascerei la parola a tutti – ovviamente, credo che il primo a intervenire sarà l’onorevole Contento – per eventuali richieste di approfondimento.
STEFANO APRILE, Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Buongiorno. Signor presidente, onorevoli deputati, l’articolo 4 del decreto-legge che è in sede di conversione introduce una serie di disposizioni volte a dare ulteriore impulso alla digitalizzazione dei processi, quindi all’adozione dell’informatizzazione nel mondo della giustizia.
Il momento era particolarmente urgente, in quanto alcune esperienze importanti avevano prodotto dei risultati molto significativi. Mi riferisco ad alcune realtà geografiche come Milano, ad alcuni uffici giudiziari del Veneto, a realtà come Genova e la stessa Roma. Era tuttavia necessario rimuovere alcuni ostacoli normativi che impedivano un’accelerazione che, invece, l’amministrazione ritiene essenziale dare.
In particolare, era urgente rimuovere alcuni ostacoli alla diffusione delle comunicazioni elettroniche, ossia l’avviso, da parte dell’autorità giudiziaria e in generale del tribunale, all’avvocato dell’adozione di provvedimenti da parte del giudice. Oggi questo avviene mediante comunicazioni affidate agli ufficiali giudiziari, con tempi e costi che si possono immaginare.
L’utilizzo, invece, delle nuove tecnologie, sulla base di un’attivazione che il ministero ha realizzato, in particolare al tribunale di Milano, di questa nuova modalità di comunicazione, ha dimostrato grandi potenzialità. In sei mesi circa sono state effettuate notificazioni telematiche per oltre 100 mila documenti.
Una notificazione costa all’Erario mediamente 10-15 euro. Potete, dunque, calcolare rapidamente quale può essere il risparmio effettivo e reale. Tuttavia, al di là del risparmio finanziario, pure importante, ciò che si è verificato sul campo è l’accorciamento dei tempi dello svolgimento dell’udienza. Infatti, se occorre rinviare un processo per ascoltare un testimone, si deve considerare nel rinvio anche il tempo occorrente per le notificazioni, dunque si deve ragionevolmente ipotizzare almeno un mese.
Il meccanismo elettronico consente, invece, un avviso in tempo reale. Le attività di cancelleria sono ridotte al minimo poiché il sistema, automaticamente, invia la comunicazione elettronica all’avvocato. Questa attività, che è stata sperimentata a Milano e, prima di Natale, è stata avviata anche al tribunale di Rimini, è per noi strategica, sia per ridurre i costi sia per dare maggiore efficienza al sistema.
Che cosa ostacola, dunque, questa diffusione? Alla domanda è collegata anche la ragione del decreto-legge. L’adesione a quello che si chiama il processo civile telematico è in questo momento – prima del decreto-legge – volontaria, nel senso che i singoli ordini professionali, degli avvocati, sollecitano i loro associati ad aderire allo strumento tecnologico messo a disposizione dal Ministero della giustizia.
Per dare qualche numero, in questo momento in Italia ci sono circa 10.000 avvocati «telematici», a fronte di circa 150-180.000 iscritti (non conosco il numero preciso, ma vorrei rendere l’idea dell’ordine di grandezza). Dei 10.000 avvocati «telematici» 6.500 sono a Milano. Questo dà la misura di come non si riesca a sfondare, sebbene si tratti di diffondere sistemi già esistenti, e non da costruire. Come dicevo, non si riesce a sfondare perché l’adesione è volontaria. Ci sono difficoltà anche culturali ad accettare queste innovazioni, che ne ritardano la diffusione.
Ebbene, il decreto-legge fa leva sull’applicazione di una norma che il Parlamento ha approvato all’inizio dell’anno passato, la legge n. 2 del 2009, che impone a tutti gli ordini professionali, quindi anche agli avvocati, di dotarsi obbligatoriamente di una casella di posta elettronica certificata, che è lo strumento individuato da quella legge come la cassetta postale di cui ciascuno di noi dispone nel proprio appartamento o, se è un professionista, nel proprio studio, dove riceve ad esempio le raccomandate. Questa casella è il canale di comunicazione sicuro e ufficiale al quale tutte le amministrazioni possono scrivere.
Facendo leva su questa importante innovazione legislativa dell’inizio dell’anno passato, il Governo ha ritenuto di seguire la proposta di utilizzare quella casella di posta elettronica come il canale di comunicazione, che quindi non è più volontaristico ma obbligatorio.
Questo fa sì che almeno per la parte che riguarda le comunicazioni da tribunale ad avvocato il canale sia definito per legge, obbligatorio per tutti, chiaro, univoco e indiscutibile. Il nostro attuale sistema è basato ugualmente sulla casella di posta elettronica, ma è una casella speciale, costruita nel 2002 appositamente per il processo telematico, definita dal punto di vista tecnico sulla falsariga della posta elettronica certificata. Dal punto di vista tecnico, dunque, non ci sono sensibili differenze. La differenza è giuridica: la PEC è stabilita per legge con delle caratteristiche (il Codice dell’amministrazione digitale determina le caratteristiche dello strumento), mentre la posta elettronica del processo telematico è stabilita da un decreto del Ministro della giustizia che si basa su un decreto del Presidente della Repubblica del 2001, il quale poggia – lo dico per i più vicini al mondo giudiziario – su una legge abrogata. Pertanto, l’impianto del processo telematico rischiava di essere fragile; infatti, il primo comma dell’articolo 4 prevede l’emanazione di nuove regole tecniche per adeguare quel vecchio impianto alle nuove tecnologie e per tradurre, quindi, il Codice dell’amministrazione digitale in norme tecniche per il processo civile e penale.
Questo è uno dei punti essenziali dell’intervento. In particolare, il comma 3 dell’articolo 4 modifica quella importante innovazione legislativa, l’articolo 51 della legge 25 giugno 2008 n. 112 (la conversione del decreto sicurezza), che aveva per primo inserito le comunicazioni di cancelleria in modo elettronico. La formulazione originaria, che è stata emendata per aspetti tecnici, impediva la diffusione che, invece, ora è resa possibile dalla legge n. 2 del 2009, che prevede appunto l’utilizzo della posta elettronica certificata. Era necessario, dunque, modificare il testo dell’articolo 51 per adeguarlo alla legge n. 2 del 2009, che ha introdotto quella importante innovazione.
Dal punto di vista dei passi successivi, le regole tecniche devono essere adottate entro un termine molto ristretto e queste danno luogo all’attivazione, tribunale per tribunale, dei servizi elettronici, una volta che l’amministrazione e l’ordine degli avvocati del luogo abbia verificato la sussistenza delle condizioni minime per il funzionamento del sistema. Si tratta, quindi, di verifiche di natura esclusivamente tecnica, che hanno il presupposto nell’adozione di questo provvedimento legislativo.