CAMERA DEI DEPUTATI – XVI LEGISLATURA
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI) E II (GIUSTIZIA)
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di mercoledì 14 settembre 2011
INDAGINE CONOSCITIVA NELL’AMBITO DELL’ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE RECANTI DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL’ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (C. 4434 GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, C. 3380 DI PIETRO, C. 4382 GIOVANELLI, C. 3850 FERRANTI, C. 4516 GARAVINI E C. 4501 TORRISI)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva attinente all’esame dei progetti di legge C. 4434 Governo, approvato dal Senato, C. 3380 Di Pietro, C. 4382 Giovanelli, C. 3850 Ferranti, C. 4516 Garavini e C. 4501 Torrisi, recanti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, l’audizione del presidente della Corte dei conti, dottor Luigi Giampaolino.
Avverto che il procuratore nazionale antimafia, dottor Pietro Grasso, impossibilitato per impegni istituzionali a prendere parte all’audizione, ha trasmesso un documento che è già in distribuzione.
Sono presenti, per quanto riguarda la Corte dei conti, il dottor Luigi Giampaolino, presidente, il dottor Maurizio Meloni, presidente di sezione, il dottor Ermanno Granelli, consigliere, il dottor Luigi Caso, magistrato capo di gabinetto, il dottor Roberto Marletta dell’ufficio stampa e il dottor Bucci.
Do, quindi, la parola al dottor Giampaolino, presidente della Corte dei conti, che ringrazio sentitamente per la disponibilità, nonostante importanti impegni istituzionali, a essere sentito dalle Commissioni.
LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Era non solo doveroso, ma necessario intervenire e la Corte è grata per l’audizione odierna su questo provvedimento, sul quale la Corte, in verità, nella sua precedente versione ha già avuto modo di esprimere alcune considerazioni di carattere generale.
La Corte è particolarmente interessata a manifestare il suo pensiero e, quindi, a dare il proprio ausilio al Parlamento perché le sue funzioni nel nostro ordinamento in un dato senso sovraintendono l’oggetto di questo provvedimento, che è quello della prevenzione della corruzione.
La custodia della legalità, che con il controllo preventivo la Costituzione assegna alla Corte, la tutela e la garanzia del corretto uso delle pubbliche risorse, la rendicontazione che essa deve rendere al Parlamento e per esso al Paese, il giudizio di responsabilità che chiude il sistema e che chiama in causa tutti coloro i quali arrecano danno allo Stato, offrono una cornice di fondo in cui questo provvedimento ben si inserisce.
Soprattutto con riguardo a quest’ultimo aspetto dei giudizi di responsabilità ciò è tanto più valido se si pensa che la giurisprudenza nella clausola generale dell’ingiustizia del danno ha fatto riferimento non solo ai nocumenti patrimoniali che si arrecano allo Stato e per esso alla società, ma anche a tutti gli altri valori che la Costituzione tutela e, in particolare, a quelli che riguardano la pubblica amministrazione.
L’efficienza, il buon andamento e altri elementi sono inseriti anche in norme che molto conviene richiamare, come l’articolo 54 della Costituzione, in cui è prescritto che i pubblici funzionari debbano servire con onore e dignità. Sono tutti beni e valori che rappresentano lo sfondo e l’empireo entro il quale si colloca anche questo provvedimento.
Esso, in particolare, ha una sua valenza agli occhi della Corte, perché, soprattutto nella sua originaria versione, che viene mantenuta nel testo approvato dal Senato, si caratterizza, se è consentita un’osservazione, per il concentrarsi su talune specifiche fattispecie più che non per il tracciare un disegno generale, perché per la prima volta nella storia del nostro ordinamento non affronta il problema della corruzione e della prevenzione della corruzione sotto l’aspetto penalistico.
L’innovazione, in verità, deriva da documenti e da dettati internazionali, ma essi vengono in adesione a ciò che da tempo la dottrina amministrativa aveva auspicato e che la stessa dottrina penalistica più recente aveva, se non invocato, quanto meno indicato. Mi riferisco alla necessità che le gravi patologie vengano affrontate nell’ambito dell’amministrazione con rimedi amministrativi e non, come era frequente nel nostro ordinamento, con l’inasprimento ulteriore della tutela penale, quindi con una lettura essenzialmente penalistica del fenomeno.
Il provvedimento attuale, come osservavo, presenta specifiche indicazioni a questo fine, ma va sottolineata e – oserei dire – difesa l’impostazione di misure da trovare innanzitutto nell’ambito della stessa pubblica amministrazione.
L’articolo 1 del disegno di legge si fa carico, in attuazione della convenzione internazionale e della convenzione penale, di istituire un’Autorità indipendente. Più che istituire la norma usa l’espressione «individua l’Autorità in un organo già preesistente», come era già nella versione dell’originario disegno di legge governativo. Si tratta di un organo essenzialmente inquadrato nell’ambito dell’amministrazione, i cui connotati di indipendenza e di autonomia dalla stessa erano dubbi.
In verità, in una visione altamente amministrativa della problematica si sarebbe pur potuto prevedere che l’amministrazione in se stessa disponesse di alcuni organi i quali potessero affrontare le tematiche che si vogliono trattare.
Ometto tutte le considerazioni che nella parte conclusiva del documento scritto consegnato alla presidenza sono state riportate in ordine alla peculiarità e alla gravità del fenomeno della corruzione, che assume nei calcoli delle nostre procure generali fino a un terzo del computo complessivo dei danni di cui si risponde davanti alla Corte. Intendo solo richiamare l’importanza del provvedimento che soprattutto per questi aspetti viene in rilievo.
Ritornando al discorso, nulla avrebbe potuto vietare che nell’ambito della stessa amministrazione si fossero trovati organi idonei a porre in essere tali rimedi amministrativi, ma il dettato internazionale vuole l’indipendenza dell’organo e noi anche nella prima audizione svolta al Senato abbiamo invocato sempre maggiore indipendenza dell’organo.
L’individuazione, per usare il termine impiegato dalla norma, dell’organo previsto dà, però, luogo a un’aporia, perché non fa che richiamare la disciplina del decreto legislativo n. 150 del 2009 e, quindi, la stessa formazione e gli stessi requisiti professionali dei componenti di quest’Autorità forse andrebbero rivisti ai fini dei compiti che tale Autorità riveste.
Si è usato un termine ad hoc che, nel triplice significato che esso può avere nel nostro ordinamento, in questo contesto assume quello di essere organo preposto alla cura di un interesse cui il Parlamento attribuisce particolare importanza, sì che l’enuclea quasi dall’ordinamento amministrativo e lo sottopone all’attenzione particolare attraverso un organo specifico, che, peraltro, riferisce al medesimo Parlamento, avendo quindi un contatto diretto con il Parlamento, circostanza che lo distingue anche dalla precedente versione nella quale la Commissione riferiva, invece, al Governo.
Passi avanti con la nuova formulazione sono stati, dunque, compiuti, ma passi ulteriori si potrebbero fare. Non sarebbe stato del tutto controproducente, ove l’amministrazione abbia in sé stessa i requisiti dell’imparzialità e dell’autorevolezza, che essa ponesse in essere propri rimedi e proprie azioni. Ciò è previsto nel comma 4 dell’articolo 1, dove il Dipartimento della funzione pubblica riprende la sua funzione di trovare e indicare rimedi per tutte le amministrazioni.
Ovviamente ciò ha riguardo soltanto verso le amministrazioni centrali, perché uno dei problemi di fondo di questo provvedimento, al pari di altri che riguardano l’organizzazione, è quello dei rapporti tra la legislazione, nazionale e regionale, e l’autonomia statutaria dei comuni.