Nella seduta di mercoledì 20 novembre il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanellì, ha svolto una informativa urgente in merito alle crisi industriali in atto.
Il numero delle vertenze all’attenzione del ministero dello Sviluppo economico ad oggi “sono 149, in linea purtroppo con quelle degli ultimi cinque anni”. Tra i settori industriali più in crisi nel nostro Paese ci sono quello siderurgico, automobilistico, tessile e della grande distribuzione organizzata.
Resoconto stenografico dell’Assemblea della Camera dei deputati
Seduta n. 263 di mercoledì 20 novembre 2019
Informativa urgente del Governo in merito alle crisi industriali in atto
STEFANO PATUANELLI, Ministro dello Sviluppo economico.
Presidente, onorevoli colleghi, non posso dire che sia un piacere venire a riferire su situazioni di crisi aziendali e in generale sui tavoli di crisi al Ministero. Credo che nessun Ministro dello Sviluppo economico sia contento quando si apre un tavolo; quello che ci impegna è trovare le soluzioni ai tavoli che si aprono. Cercherò di strutturare il mio intervento con un’introduzione rispetto alla situazione numerica dei tavoli, anche con un quadro che amplia lo spettro a più anni. Cercherò poi di individuare quali sono gli strumenti di supporto che il Ministero dello Sviluppo economico può mettere in campo quando si aprano tavoli di crisi, dopodiché cercheremo anche di entrare nel merito di alcune diverse situazioni di crisi che abbiamo affrontato in questi anni e che si sono concluse, citando anche casi positivi e casi negativi, per meglio far comprendere a tutti le difficoltà o le situazioni virtuose in cui ci troviamo a lavorare.
Terminerò, ovviamente, con alcune proposte che cercheremo di portare avanti nei prossimi mesi di Governo; ovviamente, concluderò con un riferimento anche ai tavoli più emergenziali, come Ilva, anche se recentemente ho reso un’informativa in quest’Aula, e Alitalia, che sono certamente due dei tavoli più complessi che stiamo cercando di gestire.
Prima di aggiornarvi sullo stato dei tavoli tuttora pendenti e illustrarvi in dettaglio le azioni poste in essere e quelle future, mi preme sottolineare che le situazioni che gestiamo al Ministero rappresentano solo, purtroppo, una piccola parte delle aziende che vivono grandi difficoltà aperte dalla prima crisi economica del 2008.
Solo negli anni della crisi, 2008 e 2009, il numero di imprese cessate ha sfiorato le 630 mila unità, anche se negli ultimi anni il tasso di mortalità delle imprese continua il trend di progressiva riduzione avviato a partire dal 2014.
Innanzitutto, voglio rivolgere il mio pensiero a tutti quegli imprenditori che non sono riusciti e non riescono ancora oggi a superare le difficoltà finanziarie e, in silenzio e nell’indifferenza generale, sono stati costretti a cessare l’attività imprenditoriale o, nei casi peggiori, hanno pubblicamente il temuto riconoscimento del fallimento.
Da questo punto di vista, credo che uno dei settori che ha conosciuto una maggiore morte di piccole aziende e imprese sia quello dell’edilizia. Convochiamo entro fine anno il tavolo di crisi del settore edilizio al MiSE per cercare di capire assieme alle imprese del settore delle costruzioni quali sono e quali possono essere gli strumenti da mettere in campo come Governo per tutelare i piccoli imprenditori di un settore così importante come quello dell’edilizia, che rappresenta una delle colonne portanti del nostro sistema produttivo.
Parimenti, sento il peso delle vite di quei lavoratori che, a causa della crisi, hanno perso il posto; non è facile gestire situazioni di questo genere, perché significa dover fare quotidianamente i conti con l’esistenza di tanti cittadini e delle loro famiglie in difficoltà.
L’azione del Ministero dello Sviluppo economico è istituzionalmente orientata alla salvaguardia del patrimonio produttivo di tutte le imprese e, a fronte della crisi, è concentrata a favorire la prosecuzione dell’attività e ad adottare ogni misura necessaria, anche in collaborazione con altri ministeri, per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tutela dei lavoratori. Non vi sono, e non potrebbe essere altrimenti, azioni predefinite da mettere in campo valevoli per tutte le crisi aziendali, non esiste un farmaco universale. Sussistono, infatti, tipologie di crisi molto diversificate tra loro che richiedono soluzioni da individuare individualmente. A fronte di una crisi, il primo discrimine da considerare è se riguarda un intero settore, che è divenuto obsoleto e necessita di interventi di riconversione produttiva, oppure una singola azienda, indipendentemente dall’andamento del mercato nel settore di riferimento.
In questo caso, spesso la difficoltà proviene dal mancato tempismo degli investimenti rispetto alla domanda oppure per una mancata organizzazione interna. Entrambe le situazioni conducono ad una crisi di natura finanziaria o patrimoniale dell’impresa che necessita di un intervento di sostegno, diretto o indiretto, da parte di un soggetto terzo. È in questa fase che il ruolo del Ministero dello Sviluppo economico assume piena centralità, perché si occupa dell’analisi degli aspetti economico-produttivi, intervenendo, tuttavia, anche nella gestione delle conseguenze occupazionali con il supporto del Ministero del Lavoro, delle associazioni sindacali di categoria, delle istituzioni locali.
Durante i tavoli si perseguono in linea di massima i seguenti obiettivi, che, a seconda delle situazioni, possono più o meno combinarsi: supportare processi di riorganizzazione o ristrutturazione aziendale; proporre soluzioni che favoriscano il superamento di criticità economiche, finanziarie, organizzative o occupazionali; favorire processi di reindustrializzazione; attenuare, in stretto raccordo con il Ministero del Lavoro, le conseguenze per i lavoratori attraverso l’introduzione di soluzioni come gli ammortizzatori sociali; gestire il confronto informativo e negoziale tra le parti in casi di amministrazione straordinaria.
La gestione concreta delle vertenze in crisi è svolta presso il MiSE da un’apposita struttura per la crisi d’impresa. Al fine di potenziare il supporto per la proficua gestione delle crisi, la struttura, già incardinata presso il Segretariato generale, è stata ulteriormente potenziata, trasferendo le relative competenze alla Direzione generale per la politica industriale, a seguito del riordino interno delle strutture del Ministero, da ultimo realizzato con il DPCM del 19 giugno 2019, in vigore dal 5 settembre ultimo scorso.
L’obiettivo perseguito, che ha ispirato tale modifica, è quello di mettere in atto tutte le competenze necessarie a favore della prevenzione e della gestione delle crisi in coerenza agli indirizzi di politica industriale, all’interno del quadro delle politiche di reindustrializzazione e riconversione delle aree e dei settori industriali colpiti da crisi, già materia di competenza della Direzione. Quindi, accorpare la squadra delle crisi alla Direzione sulla politica industriale rende più omogenea la trattazione delle crisi.
Tale struttura sarà ulteriormente rafforzata dalle misure introdotte dal recente “decreto-legge crisi aziendali”, ove all’articolo 12 sono state introdotte norme funzionali al potenziamento della struttura, assegnando un contingente di personale fino a 12 unità, dotato di specifiche e necessarie competenze ed esperienze nel settore della politica industriale, analisi e studio in materia di crisi di impresa.
È chiaro, tuttavia, che tali misure di potenziamento della struttura devono essere accompagnate da una procedimentalizzazione della gestione dei tavoli di crisi, finora non avvenuta.
Al riguardo, mi preme precisare che, contrariamente a quanto accade, ad esempio, presso il Ministero del Lavoro, che agisce all’interno del perimetro della procedura di licenziamento collettivo definita per legge, presso il Ministero dello Sviluppo economico l’intervento tra le parti ha un carattere conciliativo, non sottoposto a procedure di legge, in genere attivato su richiesta delle organizzazioni sindacali, delle aziende o delle istituzioni territoriali.
È necessario, quindi, individuare chiare regole per il coinvolgimento del Ministero dello Sviluppo economico nella gestione ministeriale delle crisi. Il tempismo dell’intervento assume in questo ambito rilevanza fondamentale per valutare le caratteristiche dell’impresa in crisi, i fattori determinanti e le soluzioni più idonee al caso specifico.
La dimensione dell’azienda è un altro parametro significativo per l’individuazione dello strumento adatto. Ad esempio, per una crisi d’impresa di minori dimensioni, che coinvolge un numero ridotto di dipendenti, possiamo attivare strumenti quali il workers buyout, agevolato dal Ministero attraverso i finanziamenti agevolati della Nuova Marcora, finalizzata, come ben sapete, a sostenere la nascita di società cooperative costituite, in maniera prevalente, da lavoratori provenienti da aziende in crisi. Al riguardo, penso all’esperienza virtuosa, in questi giorni appresa dalle fonti di stampa, dove i lavoratori di una ditta di ceramica di Città di Castello, interessata da un fenomeno di delocalizzazione, hanno rinunciato e reinvestito il loro TFR e la Naspi, acquistando l’azienda e dando vita alla Cooperativa Ceramica Noi.
Passando all’analisi del dettaglio dei tavoli pendenti, si evidenzia che il numero di vertenze è pari a 149 ad oggi, in linea, purtroppo, con quello degli ultimi cinque anni: nel 2014 erano 160, nel 2015 erano 151, nel 2016 erano 148, nel 2017 erano 165, nel 2018 erano 144, nel 2019, ad oggi, 149. La maggior parte dei tavoli sono attivi da parecchi anni, in taluni casi anche più di sette anni, perché sono situazioni che necessitano di un tavolo permanente perché, a causa delle criticità del settore, richiedono interventi di carattere strutturale. Nello specifico dico soltanto che, di questi 149 tavoli di crisi, 102, pari al 68,5 per cento, sono attivi da più di tre anni e 28 sono attivi da più di sette anni.
I tavoli permanenti rimangono molte volte aperti anche dopo la risoluzione della crisi che ha colpito l’azienda, anche per permettere alle parti sociali, alle istituzioni locali e alle imprese di contare sul supporto del Ministero nella gestione ordinaria delle relazioni industriali, nonché per verificare il corretto utilizzo di eventuali strumenti agevolativi concessi e per eventuale ulteriore supporto istituzionale. I tavoli cessano di essere conteggiati tra i permanenti nei casi di cessione dell’attività produttiva, per il raggiungimento di un accordo che non richiede alcun monitoraggio, per esperita procedura, per il raggiungimento degli obiettivi di riorganizzazione e di stabilizzazione dell’attività, per cessazione dell’attività, nonché per il cessare dei motivi per il quale è stato aperto il tavolo, come nel caso di tavoli inerenti situazioni di fusione tra gruppi che possono comportare rimedi imposti dall’Antitrust che impattano sulle attività produttive e sul perimetro occupazionale.
A questi ovviamente si aggiungono le crisi di natura temporanea.
È evidente che c’è una narrazione per cui sono esplosi improvvisamente 149 tavoli di crisi; in realtà, il dato medio degli ultimi cinque anni, sei anni è di 151. Mi sembra quindi che, purtroppo, la gestione dei tavoli di crisi al Ministero dello Sviluppo economico denota questa costanza nel numero dei tavoli di crisi che accedono al Ministero: non secondo una procedura, ma perché vi è qualche soggetto tra le forze sociali, quindi i sindacati, gli enti locali o l’azienda stessa, che chiedono un intervento del Ministero dello Sviluppo economico per agevolare un processo di reindustrializzazione.
Oltre ai tavoli di crisi aperti nel periodo tra giugno 2018 e giugno 2019 presso il Ministero dello Sviluppo economico, quindi oltre al singolo tavolo e alla prima riunione, sono stati effettuati circa 1.320 tra incontri preliminari, riunioni ristrette, plenarie inerenti a varie situazioni di difficoltà di aziende e di tavoli di crisi. Quindi, non tutte le riunioni che si fanno al Ministero dello Sviluppo economico diventano un tavolo di crisi: qualche volta anche con una riunione ristretta o con un singolo incontro preliminare si riesce a trovare una situazione e una soluzione per la singola azienda, per il singolo caso. In molti di questi casi l’Amministrazione si è attivata supportando le regioni nella gestione dei tavoli di crisi di competenza strettamente territoriale, in una modalità di proficua collaborazione mirata sia alla salvaguarda del numero dei lavoratori sia ad altri aspetti di competenza del MiSE.
Esaminando le crisi da un punto di vista settoriale, vi segnalo che, oltre a quelli più noti, quali la siderurgica, l’automotive, vi sono anche gravi difficoltà per il tessile e la grande distribuzione organizzata. Su base regionale, il maggior numero di tavoli riguarda aziende con sedi o unità produttive prevalentemente ubicate in Lombardia (il 13,42 per cento del totale), a seguire in Abruzzo, in Campania, Piemonte, Lazio e Toscana; oltre naturalmente ai tavoli che hanno carattere nazionale, per il numero di unità operative presenti nell’intero territorio.
Per quanto riguarda gli strumenti di sostegno alle imprese in difficoltà in uso presso il Ministero, per le grandi imprese in difficoltà la procedura di amministrazione straordinaria costituisce la misura principale di regolazione delle crisi di impresa, alternativa al fallimento, con specifiche finalità di salvaguardia delle attività aziendali e dei livelli occupazionali delle grandi imprese insolventi che motivano l’attribuzione della relativa vigilanza a questo Ministero.
L’attività di vigilanza sulle procedure di amministrazione straordinaria trova il suo fondamento giuridico nella disposizione contenuta nel decreto legislativo n. 270 del 1999 – cosiddetta Prodi-bis – e nel decreto-legge n. 347 del 2003, la cosiddetta legge Marzano.
Il primo, che contiene una disciplina organica della procedura di amministrazione straordinaria, è stato emanato in riforma della cosiddetta legge Prodi del 1979, che aveva introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’amministrazione straordinaria, anche a seguito delle censure sollevate dalla Commissione europea sotto il profilo della compatibilità della stessa con la normativa in materia di aiuti di Stato. Altro tema molto complesso: molto spesso si chiede al Ministero dello Sviluppo economico di attivare strumenti di incentivazione e di aiuto alle imprese, dopodiché dall’Europa ci dicono che quello che stiamo facendo è un aiuto di Stato; ritengo che anche su questo, in un momento di difficoltà economica in cui, come dico sempre, l’Europa è il grande malato economico mondiale, schiacciato tra gli Stati Uniti e la Cina, l’Europa nel suo complesso dovrebbe fare qualcosa di più, consentendo agli Stati membri di intervenire verso le aziende in crisi, senza considerare quegli aiuti aiuti di Stato e lesivi della concorrenza di mercato.
In generale, il bilancio di riferimento dell’amministrazione straordinaria è costituito dalle imprese commerciali insolventi con non meno di 200 dipendenti, per quanto riguarda la disciplina contenuta nella “Prodi-bis”, e non meno di 500 dipendenti per la “legge Marzano”, su tutto il territorio nazionale.
Per quanto riguarda gli ambiti della cosiddetta Prodi-bis, essa coinvolge oggi 124 gruppi, con circa 341 società, e per 4 di essi è ancora in corso la fase di esercizio d’impresa: si tratta delle procedure relative ai gruppi Selta, Pubbliservizi, Securpol e Stefanel.
Per quanto riguarda la cosiddetta legge Marzano, sono interessati 29 gruppi, con circa 253 società, per 7 di esse è ancora in corso la fase dell’esercizio d’impresa: si tratta di Mercatone Uno, Tosoni, Tecnis, Condotte, Blutec, oltre a Ilva e Alitalia, che sono soggette alla “legge Marzano”.
Non mi soffermo sugli ultimi tavoli – mi soffermerò alla fine, quindi su Ilva e Alitalia – ma con riguardo invece agli strumenti di incentivazione alle imprese volti al superamento di crisi di specifici comparti produttivi o di rilevanti complessi aziendali, il Ministero può giungere, nell’ambito dello strumento dei contratti di sviluppo, alla sottoscrizione di specifici accordi volti al sostegno di programmi ritenuti di particolare rilevanza strategica, nonché in ottica di risoluzione di particolari situazioni di crisi. Si tratta, nello specifico, di accordi di programma e accordi di sviluppo, riservati i primi a programmi di sviluppo di importo superiore ai 20 milioni, ovvero 7 milioni e mezzo per programmi riguardanti la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli; i secondi, cioè gli accordi di sviluppo, sono programmi di importo superiore ai 50 milioni, ridotti a 20 per i programmi riguardanti la trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.
La sottoscrizione di detti accordi consente un maggior coinvolgimento delle amministrazioni locali, anche dal punto di vista finanziario, e l’attivazione di una procedura valutativa più celere. Ai fini della valutazione degli investimenti proposti, in particolare l’individuazione del carattere strategico dei programmi presentati, è dato rilievo a tematiche ritenute prioritarie per lo sviluppo del tessuto produttivo nazionale, riconducibili, da una parte, all’innovatività – e quindi in coerenza con il piano nazionale Industria 4.0 – e dall’altra alla capacità di attrarre investimenti di capitali esteri e di attivare occupazione incrementale.
Altro importante strumento di agevolazione, che abbiamo in dotazione al Ministero e che possiamo mettere in campo in alcuni momenti di crisi, per le imprese che versano in situazione di difficoltà, è rappresentato dalla legge n. 181 del 1989, rivolta principalmente a quelle imprese ricadenti in aree di crisi industriale complessa, non complessa, nonché altre aree, ad esempio le aree del terremoto Abruzzo e Centro Italia.
Con i decreti-legge n. 83 del 2012 e n. 145 del 2013 si è provveduto al riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale, introducendo, tra l’altro, strumenti di sostegno, quali i Progetti di riconversione e riqualificazione industriale, dedicati alle aree caratterizzate da recessione economica e da perdita occupazionale riconosciute dal Ministero aree di crisi industriale complessa. L’articolo 27 del decreto-legge n. 83 del 2012 prevede che, nei casi di situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, il Ministero adotti progetti di riconversione e riqualificazione industriale e demanda al Ministero dello Sviluppo economico il riconoscimento di queste situazioni di crisi complessa, anche a seguito di istanza della regione interessata.
I piani di riconversione e riqualificazione industriale promuovono, anche mediante il cofinanziamento regionale con l’utilizzo di tutti i regimi di aiuto disponibili per cui ricorrano i presupposti, ivi incluse le agevolazioni di cui alla legge n. 181 del 1989, gli investimenti produttivi, anche a carattere innovativo, la riqualificazione delle aree interessate, la formazione del capitale umano, la riconversione di aree industriali dismesse, il recupero ambientale, l’efficientamento energetico di siti e la realizzazione di infrastrutture strettamente funzionali agli interventi.
Gli interventi agevolativi di cui alla legge n. 181 del 1989 sono rivolti anche alle situazioni di crisi non complessa, che vengono individuate dal Ministero dello Sviluppo economico ma su proposta delle regioni, che presentano un impatto significativo sullo sviluppo dei territori interessati e sull’occupazione. Complessivamente, la dotazione finanziaria messa a disposizione per le aree di crisi industriale complessa, non complessa e altre aree risulta pari a 735 milioni di euro. I progetti ammessi alle agevolazioni di cui alla legge n. 181 del 1989 risultano ad oggi 74, e riguardano investimenti per complessivi 392,7 milioni di euro, a fronte dei quali sono state concesse agevolazioni per un importo pari a 271,2 milioni di euro ed è assicurata una nuova occupazione per 1.120 unità.
Ritengo opportuno e doveroso anche in questa occasione rappresentarvi nel dettaglio le azioni poste in essere in taluni casi di crisi aziendali molto discussi negli ultimi mesi; innanzitutto partendo da quelle che hanno avuto un consenso positivo, o comunque sono state, dal punto di vista metodologico, esempi da replicare in altri casi.
Piaggio Aerospace. Piaggio Aerospace ha vissuto forti sofferenze per parecchi anni, tanto che nel giugno 2014 era stato sottoscritto un accordo presso il MiSE per un piano industriale 2014-2018 che si basava sul trasferimento a Villanova di una parte dei lavoratori di Genova, l’esternalizzazione di una parte dell’attività produttiva di Villanova – circa 100 lavoratori – ad un altro imprenditore e l’attivazione di un’ulteriore procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione.
Purtroppo, però, già nel 2016 vi fu la necessità di superare un’ulteriore paralisi aziendale attraverso la modifica di cui allo stesso piano industriale, con la necessità di separare le attività motoristiche dalle attività di produzione di velivoli civili e militari, di cedere ad altro imprenditore le attività motoristiche, nonché di ridurre gli organici con l’uscita degli esuberi, quantificati in circa 130 lavoratori. Quindi, una situazione molto critica anche nel 2016, che si è protratta per i due anni successivi senza soluzione alcuna, tanto da arrivare, nel 2018, a una situazione finanziaria completamente deteriorata. Nei giorni dell’insediamento del Governo in questa legislatura, l’azienda era nella situazione di avere liquidità per il pagamento di poche mensilità di stipendi, tanto da portare poi l’attenzione sindacale sui picchi con scioperi, cortei pubblici e presìdi che hanno messo a rischio anche la pubblica sicurezza. Il portafoglio ordini era soltanto sufficiente a tenere operativo il 40 per cento del totale della forza lavoro, tanto da arrivare allo stato di insolvenza. Il MiSE, nel suo immediato intervento, dapprima ha facilitato l’adozione del provvedimento di amministrazione straordinaria per poi permettere di intraprendere azioni urgenti di primo contenimento, quali l’istanza al tribunale per il pagamento immediato degli stipendi, la firma di contratti istituzionali per 45 milioni di euro a favore dell’unità di business Motori e Customer Service, al fine di stabilizzarne la produzione, la riorganizzazione e la razionalizzazione della prima linea dirigenziale.
Successivamente, grazie agli impegni assunti dal MiSE, di concerto con il Ministero della Difesa, sono stati annunciati nel corso di una visita allo stabilimento ulteriori contratti per 167 milioni di euro, che hanno portato il portafoglio ordini a un totale di 270 milioni ed è stato possibile avviare la finalizzazione di contratti per ulteriori 570 milioni di euro da realizzare entro il corrente anno, questo per procedere nel percorso di rafforzamento delle attività della società, di graduale e continuo riassorbimento del personale dalla cassa integrazione e di garantire un futuro solido a un’azienda importante del nostro Paese e al suo indotto.
La situazione attuale della società è, quindi, quella di avere un portafoglio ordini che ha raggiunto 823 milioni di euro tra contratti esecutivi e vicini alla firma. È prossima la pubblicazione del bando internazionale da parte dell’amministrazione straordinaria per la cessione dei complessi aziendali, con l’obiettivo di identificare la soluzione migliore all’interno di un percorso che si possa concludere al massimo entro l’autunno del prossimo anno. Quindi, attraverso l’amministrazione straordinaria è stata ricondotta una riorganizzazione dell’azienda ed è stato costituito un portafoglio ordini attrattivo che potrà portare alla cessione dei rami d’azienda.
Vengo ora a Industria Italiana Autobus. Quest’azienda, alla riattivazione del tavolo presso il Ministero dello Sviluppo economico, a luglio 2018, si trovava in una situazione di forte indebitamento, non venivano pagati gli stipendi con regolarità, aveva un socio importante come Leonardo in uscita dalla compagine societaria e aveva, negli anni, portato operativamente l’intera produzione di autobus in Turchia attraverso un socio di minoranza; questo nonostante l’azienda fosse nata proprio sotto l’egida del MiSE, nel 2014, con la fusione dell’ex BredaMenarinibus di Bologna e l’ex Irisbus (ex FIAT Iveco di Flumeri), con la sottoscrizione, proprio al MiSE nel dicembre 2014, di un accordo in cui si annunciava la risoluzione del problema e si stabiliva che tutti i dipendenti del sito ex Irisbus passassero alla newco I.I.A., Industria Italiana Autobus, per favorire il riavvio dell’insediamento industriale che era fermo dal 2011.
Nonostante, poi, anche il contratto di sviluppo messo a disposizione e firmato da Invitalia nel settembre 2016, per un ammontare di agevolazioni concesse di 17,8 milioni di euro su un investimento totale di 25 milioni, l’azienda si è continuata a trovare in forte difficoltà di natura finanziaria e soprattutto gestionale, tanto che il suddetto contratto di sviluppo, che prevedeva la conclusione degli investimenti il 30 giugno 2018 con l’avvio del Governo Conte, è stato congelato proprio per la mancanza di rendicontazione adeguata. Nel frattempo, però, l’azienda, con il supporto delle istituzioni, si era aggiudicata importanti gare per la produzione di autobus che non riusciva a consegnare in tempo, con l’accumularsi di penali, per la produzione effettuata esternamente. Per questo, in una situazione profondamente deteriorata, l’intervento del Ministero dello Sviluppo economico ha permesso, a fine 2018 – quindi poco più di un anno fa – di avviare un percorso di salvataggio reale volto alla salvaguardia produttiva e occupazionale. Con il supporto del socio Leonardo sono state coperte delle fideiussioni. È stata dapprima effettuata una copertura delle perdite e una ricapitalizzazione al minimo, con la conseguente fuoriuscita dalla compagine del precedente socio di maggioranza e l’ingresso, accanto a Leonardo, di Invitalia con una partecipazione nell’equity e un ruolo di regia nella gestione aziendale.
La nuova Industria Italiana Autobus oggi è un’importante azienda italiana di progettazione, costruzione e commercializzazione dei bus che sta finalmente vivendo una nuova fase di rilancio dopo anni di turbolenze, con tutto quello che ne consegue anche nella gestione ordinaria di fornitori, clienti e personale, sia a Bologna, dove il personale è stato tutto riassorbito dalla cassa integrazione, sia a Flumeri, dove sono in corso il assorbimento e i lavori di rilancio del sito.
Nell’ultimo incontro al MiSE, il 9 ottobre 2019, è emerso che dopo l’intervento del Governo Conte è stata avviata la messa in sicurezza finanziaria dell’azienda, il reimpiego e la formazione dei lavoratori, nonché l’avvio dei lavori per l’ammodernamento degli impianti.
Tutto ciò ha permesso il rilancio della società con la ripresa graduale della produzione di autobus e l’implementazione delle direttrici del piano industriale negli stabilimenti di Bologna e Flumeri. Sono già stati consegnati circa 300 autobus previsti dalle commesse acquisite per le città di Roma, Genova e della regione Emilia-Romagna, e le lavorazioni esterne sono già state reinternalizzate in parte presso gli stabilimenti italiani. In pochi mesi si sono riportate in Italia il 25 per cento delle lavorazioni estere, con l’obiettivo di proseguire su questa strada e portare, nel 2020, almeno il 60 per cento delle lavorazioni e rendere gli stabilimenti in grado di riportarle e lavorarle tutte – quindi, il 100 per cento – per il 2021. È stata inoltre confermata la presenza di nuove importanti commesse per il 2020.
Tralascio alcuni tavoli di crisi, nati in questi mesi e gestiti, e passo a La Perla, ad esempio, che è un importante marchio italiano fondato nel 1954 e che dal febbraio 2018 è posseduto dal fondo olandese, Sapinda Holding. Il 28 giugno 2019 l’azienda ha avviato per le due società bolognesi una procedura di licenziamento collettivo per 126 dipendenti. Al tavolo di confronto tra le parti, del 29 luglio 2019 presso il MiSE, è stata sospesa la procedura per avviare la trattativa tra le parti, che si è conclusa dopo un aggiornamento del tavolo l’11 ottobre scorso con il raggiungimento di un accordo in sede locale il 30 ottobre di quest’anno, in cui l’azienda ha concordato un percorso per il mantenimento del sito produttivo e l’utilizzo di strumenti del Ministero del Lavoro per il superamento della procedura di licenziamento collettivo.
Ci sono, poi, casi che sono prima del 2018 e che, invece, hanno avuto delle chiusure negative. Penso, ad esempio, ai lavoratori di Almaviva: 1.666 famiglie della sede di Roma, che dal 1° ottobre 2016 aveva annunciato gli esuberi, riguardo al quale il tavolo convocato al MiSE al dicembre 2016 non ha potuto evitare i licenziamenti. Penso ai lavoratori del gruppo Canali, azienda con un marchio importante nel made in Italy del tessile e della moda, con insediamenti industriali in Abruzzo, Marche e Lombardia e 1.200 addetti circa. Nel luglio 2016 ha deciso la cessazione delle linea di produzione di pantaloni del sito di Gissi, in provincia di Chieti in Abruzzo, e a novembre 2017 ha dapprima annunciato al tavolo di confronto del MiSE la chiusura del sito di Carate Brianza, in Lombardia, e poi ha proceduto sia alla cessione dell’attività, sia al licenziamento collettivo di 133 dipendenti nel 2017.
Ci sono altri casi, come Ittierre, Mabro, Cantarelli, KFlex, l’azienda Carlo Colombo. Ci sono, inoltre, aziende come la Froneri e la Ceme, insomma casi che purtroppo non hanno trovato risposta e che non sempre possono trovare risposta anche nonostante l’intervento tempestivo del Ministero dello Sviluppo economico, perché sono crisi di un mercato specifico o di un’azienda che non ha saputo, in qualche modo, prevedere una crisi in arrivo e non ha saputo riorganizzarsi.
Nonostante l’intervento del Ministero dello Sviluppo economico, che non ha mai il piacere di vedere un tavolo che si chiude in modo negativo, che sia questo Ministro o che sia il Ministro precedente o quello prima ancora o quello prima ancora, credo che a prescindere da qualsiasi forza politica cui appartenga, un Ministro dello Sviluppo economico che vede chiudere un’azienda certamente prova un grande senso di frustrazione per non aver potuto mettere in campo delle azioni atte a salvaguardare quell’assetto produttivo e quei lavoratori.
Ho voluto, quindi, ricordare queste aziende, che sono solo alcune delle crisi che sono state chiuse negativamente negli anni scorsi, perché, come dicevo, troppo spesso in questi giorni ho visto dibattiti televisivi incentrati sulle crisi aziendali odierne quali casi unici e mai visti. Purtroppo, da Ministro dello Sviluppo economico, devo constatare che molti di questi fenomeni si sono perpetrati per anni a danno di tutto il tessuto industriale del nostro Paese, in molti casi con responsabilità dirette anche della politica su licenziamenti, chiusure, fallimenti e cessazioni, che purtroppo non hanno avuto alcuna soluzione, nemmeno quella di garantire un reddito ai lavoratori su cui impattavano.
Quali sono gli obiettivi futuri? Questa è la situazione ma voglio rappresentare anche alcuni obiettivi dell’immediato che intendiamo perseguire con azioni di breve e di medio periodo. Oltre alle modifiche che hanno riguardato la struttura di crisi e la necessità di adottare specifiche procedure per i tavoli di crisi, altre importanti novità sono state previste nei recenti interventi normativi in tema di crisi di imprese. Il decreto “Crescita”, il decreto n. 34 del 2019, ha previsto interventi specifici per facilitare i processi di risanamento di imprese che versano in situazioni di difficoltà. In particolare, nei casi in cui l’azienda si trova in uno stato di difficoltà e l’imprenditore ha intenzione di cedere o delocalizzare l’attività, con la contestuale perdita di posti di lavoro sul territorio, è stato introdotto un apposito fondo di sostegno per la prosecuzione dell’attività di impresa, con interventi a condizioni di mercato nel capitale a rischio dell’impresa.
Nell’attuale formulazione normativa, la misura mira soprattutto alla valorizzazione dei marchi storici di interesse nazionale e alla contestuale tutela dei livelli occupazionali delle imprese in difficoltà titolari di detti marchi. Vi preannuncio, però, che è allo studio la revisione del detto Fondo di sostegno, che vorremmo estendere alla generalità delle imprese che oggi popolano i tavoli di crisi presso il MiSE, fermo restando la tutela dei titolari di marchi storici iscritti nell’apposito registro (per i quali verranno preservate condizioni privilegiate di accesso) e la necessità di individuare limiti dimensionali di accesso al fondo in coerenza con le risorse al momento in dotazione (30 milioni di euro per il 2020).
Puntiamo a presentare a tal fine un emendamento già in legge di bilancio per rendere operativo il fondo già a partire dai primi mesi del nuovo anno. Sempre nell’ambito del “decreto crescita”, è stata prevista, all’articolo 29, comma 3, la revisione, con decreti del MiSE, della disciplina attuativa degli interventi per le aree di crisi industriale, improntata alla semplificazione e accelerazione delle procedure di accesso, concessione ed erogazione delle agevolazioni, nonché all’incremento dell’efficacia degli interventi. L’obiettivo è quello di assicurare la piena accessibilità agli interventi per l’incentivazione delle attività imprenditoriali e il contenimento degli oneri amministrativi e finanziari a carico delle imprese beneficiarie. In tal senso abbiamo già emanato il decreto ministeriale attuativo della disposizione quanto alle agevolazioni di cui alla citata legge n. 181/1989 in favore di programmi di investimento finalizzati alla riqualificazione delle aree di crisi industriali.
Le novità introdotte sono finalizzate principalmente a: la riduzione della soglia minima di ammissibilità per progetto da 1,5 a 1 milione di euro; l’inclusione delle reti d’impresa fra i soggetti ammissibili; l’inclusione delle spese per la formazione del personale tra quelle ammissibili; la semplificazione delle procedure di valutazione dei progetti; l’introduzione di un fast track per i progetti ad elevato impatto occupazionale; l’estensione del cumulo delle agevolazioni all’intervento del Fondo di garanzia per le PMI.
Per quanto riguarda i nuovi bandi, essi verranno disciplinati dalle nuove disposizioni più favorevoli alle imprese, sia in termini di accesso alle procedure, sia in termini di intensità di incentivi. I recenti interventi normativi hanno interessato anche il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, la cui finalità precipua è quella di favorire l’accesso al credito da parte delle PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica, che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali portate dalle imprese.
Mi riferisco, nello specifico, all’articolo 1 del “decreto semplificazione”, che ha previsto l’istituzione di una sezione speciale del Fondo di garanzia, con una dotazione finanziaria iniziale di 50 milioni di euro, dedicata alle PMI, incluse quelle operanti nel settore edile, che si trovano in difficoltà nella restituzione delle rate di finanziamenti contratti con banche e intermediari finanziari e sono titolari di crediti nei confronti della pubblica amministrazione: attraverso questa sezione del Fondo, è lo Stato a farsi carico della garanzia per i ritardi della PA. L’efficacia della predetta misura è condizionata alla preventiva notifica alla Commissione europea, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in conformità alla normativa sugli aiuti di Stato.
Credo che, per quanto riguarda l’accesso al credito, sia fondamentale l’istituzione della Banca pubblica degli investimenti, che dovrà garantire alle nostre imprese in difficoltà un accesso al credito privilegiato. Al fine di poter incidere in maniera più efficace sulla gestione e sulla risoluzione delle crisi aziendali, proporrò nei prossimi giorni una serie di ulteriori strumenti, che si vanno ad aggiungere a quelli varati in questi mesi ed alla strumentazione a legislazione vigente, ad esempio: il rafforzamento della collaborazione tra le strutture ministeriali e Invitalia, in considerazione del riconosciuto ruolo di gestore delle agevolazioni a favore di imprese e di supporto tecnico e operativo per l’attuazione degli accordi di programma dei progetti finanziati dall’ Unione europea, con l’obiettivo di una più efficace e tempestiva gestione delle risorse (c’è troppa lentezza da quando c’è un accordo di programma con l’investimento che viene passato ad Invitalia a quando quell’investimento diventa effettivo all’interno di una crisi); il potenziamento della collaborazione con Unioncamere e di tutta la rete camerale cui verranno affidate, in virtù della radicata conoscenza del territorio, specifiche competenze in tema di supporto tecnico e informativo del Ministero nella gestione delle crisi d’impresa, anche in considerazione delle funzioni attribuite alle camere di commercio nell’ambito dei nuovi sistemi di allerta e gestione assistita delle crisi di imprese (OCRI); la definizione di un accordo quadro tra Ministero e regioni (attraverso il supporto della Conferenza Stato-Regioni) per la definizione di unità di crisi regionale in ciascuna delle regioni italiane e delle province autonome, che operino in coordinamento con la struttura del Ministero dello Sviluppo economico; e l’introduzione, infine, di misure in grado di favorire l’attrazione di investimenti esteri mirati ai territori e alle imprese in crisi. Prima di chiudere, consentitemi di ribadire anche in quest’Aula l’importanza della collaborazione tra i diversi soggetti, istituzionali e non, nella gestione delle crisi aziendali.
Sempre più spesso assisto alla spettacolarizzazione delle crisi per finalità del tutto estranee al contesto di riferimento, calpestando il rispetto della dignità delle persone e delle famiglie che ne vengono travolte. Sempre più spesso, poi, si dimentica, inoltre, che la crisi di una azienda è il fallimento di mercato di una iniziativa imprenditoriale: non necessariamente e non sempre, nonostante tanti sforzi, si riesce a trovare una soluzione positiva.
Noi ci impegniamo personalmente ogni giorno, ma accade che si debba procedere ad una chiusura negativa del tavolo, con il conseguente fallimento dell’impresa e la grave perdita dell’occupazione. È allora forse il caso, soprattutto laddove alla crisi d’impresa si associano ricadute sociali che interessano interi territori, di evitare: estemporanee affermazioni sganciate dalla complessità del contesto di riferimento, inopportune accuse di incapacità e inadeguatezza, falsi allarmi che alimentano le speranze e le preoccupazioni di chi è in attesa di aiuto.
Io credo nella politica responsabile e anche sul fronte delle crisi questo sarà il mio metodo di lavoro, che cercherà sempre e comunque l’individuazione di soluzioni concretamente percorribili e sostenibili a beneficio dell’attività d’impresa e della tutela dei livelli occupazionali.
Io credo sia giusto anche fare un passaggio sulle due crisi principali, anche se su Ilva, sull’ex stabilimento di Ilva, abbiamo già avuto modo in quest’Aula, così come al Senato, di ripercorrere nella nota informativa la situazione dello stabilimento, sia dal punto di vista del percorso storico, che attuale. Vorrei fare solo un ultimo passaggio sul caso Whirlpool, prima di passare ad Ilva e Alitalia. Per quanto riguarda la questione Whirlpool, come sapete, c’era l’intenzione dell’azienda di cedere un ramo produttivo, con lo stabilimento di Napoli, una procedura che era già stata attivata. L’azienda è retrocessa da questa iniziativa, ma, se posso dire che è stato sventato, in questo momento, un momento di criticità definitiva dello stabilimento di Napoli, dobbiamo lavorare con uno spettro di circa un anno da oggi, anzi da un mese fa, quindi undici mesi, per trovare una soluzione definitiva. Non sono uso creare né allarmismi, né facili entusiasmi, quindi non ho festeggiato quando abbiamo, tra virgolette, costretto l’azienda a retrocedere dalla procedura di cessione del ramo d’azienda; festeggerò quando avremo definitivamente risolto il problema dello stabilimento.
Per quanto riguarda Ilva, è evidente che ci sono in questo momento delle interlocuzioni, è altrettanto evidente che c’è un percorso giudiziario, che noi riteniamo immotivato perché riteniamo che non ci sia un diritto all’esercizio del recesso, e stiamo chiedendo all’azienda di retrocedere dall’esercizio di questo diritto, che secondo noi non ha, per creare le condizioni per effettivamente sedersi attorno a un tavolo e vedere di affrontare anche la questione industriale, che è quella che oggettivamente dovrebbe essere al centro di ogni ragionamento, per tutelare un settore produttivo fondamentale per il nostro Paese, oltre che le quasi 11 mila persone coinvolte direttamente tra lo stabilimento di Taranto e gli altri stabilimenti, e le decine di migliaia di persone dell’indotto.
Ovviamente, di più in questo momento non ho da dire, perché ci sono in queste ore interlocuzioni in tal senso, esattamente come attendo domani – alla scadenza dell’ultima proroga che è stata autorizzata ai commissari e concessa al costituendo consorzio – di leggere ciò che il costituendo consorzio, con Ferrovie dello Stato capofila, scriverà ai commissari. Anche su questo fronte, in queste ore, si sono susseguite dichiarazioni in un senso e nell’altro ed è a questo che facevo riferimento quando dicevo che, forse, qualche volta, bisognerebbe cercare di limitare le esternazioni per non suscitare né allarmismi, da un lato, né eccessiva positività, dall’altro, soprattutto in un momento difficile come questo per quel tavolo di crisi in particolare. Ritengo che ci siano delle condizioni che mi fanno essere parzialmente ottimista per quello che succederà nelle prossime ore, ma ovviamente devo attendere come voi che il consorzio scriva ai commissari e, dopo che ovviamente i commissari avranno informato il mio Ministero e me personalmente in questa ultima fase del percorso, attenderò le considerazioni conclusive e, quindi, le determinazioni che vi saranno di conseguenza (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali).