Audizione del Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, sulle linee programmatiche del suo Dicastero

COMMISSIONI RIUNITE AFFARI ESTERI E COMUNITARI (III) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI AFFARI ESTERI, EMIGRAZIONE (3a) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Resoconto stenografico AUDIZIONE Seduta di mercoledì 30 novembre 2011

Ministro terzisantagataPRESIDENTE. L’ordine del giorno reca l’audizione, ai sensi dell’articolo 143, comma 2 del Regolamento, del Ministro degli affari esteri Giulio Terzi di Sant’Agata sulle linee programmatiche del suo Dicastero.

 

Saluto l’amico e collega presidente della Commissione del Senato, Lamberto Dini, e tutti i colleghi presenti.

Ringrazio e do il benvenuto mio personale e del presidente Dini al Ministro degli affari esteri Giulio Terzi di Sant’Agata che ha voluto tempestivamente calendarizzare la sua prima audizione presso le Commissioni parlamentari, a conferma di una sensibilità istituzionale già manifestatasi nel corso dei precedenti incarichi, in occasione dei quali molti di noi hanno avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo. Inoltre, mi è d’obbligo ringraziare la neosottosegretaria Marta Dassù della sua presenza.

Saluto anche il Ministro uscente Franco Frattini e il sottosegretario uscente Alfredo Mantica, con i quali abbiamo sempre lavorato in maniera efficace.

Do ora la parola al Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata.

GIULIO TERZI DI SANT’AGATA, Ministro degli affari esteri. Presidente Stefani, presidente Dini, onorevoli senatori, onorevoli deputati, vi ringrazio molto dell’invito a condividere con le due Commissioni esteri del Senato e della Camera le linee programmatiche di politica estera che sarebbe mia intenzione perseguire nello svolgimento dell’incarico presso un Ministero in cui lavorano donne e uomini che avvertono fortemente la consapevolezza di rappresentare nel mondo le grandissime ricchezze culturali, scientifiche, umane e imprenditoriali del nostro Paese. Per me è un grande onore essere di fronte a queste due Commissioni parlamentari e a tutti voi, molti dei quali hanno avuto – come ha detto il presidente Stefani – occasione di vedermi all’opera in incarichi precedenti. Peraltro, ho sempre tratto molto frutto, anche in relazione alle linee di indirizzo e di approfondimento, dagli incontri con gli onorevoli membri del Parlamento.

È mio vivissimo auspicio avviare oggi il dialogo più intenso e continuo con le Commissioni e con ciascuno dei loro membri per ricevere valutazioni e indicazioni e mettere a fuoco le priorità del nostro Paese sulla scena internazionale, proseguendo una fruttuosa consuetudine alla quale hanno tenuto moltissimo i miei predecessori. Intendo così promuovere uno sforzo comune e condiviso per una politica estera basata su riferimenti precisi, in un solco di continuità, e allo stesso tempo con alcune nuove intonazioni che mi riserverei di illustrare. Vivo questo auspicio con profondo rispetto verso la sovranità del Parlamento e – permettetemi di sottolinearlo – con spirito di servizio e ascolto nei confronti delle vostre considerazioni e sensibilità.

Ringrazio lei, signor presidente, e rivolgo il più cordiale saluto alle personalità presenti che mi hanno preceduto in modo così illustre al vertice del Ministero degli esteri, il presidente Dini, il presidente D’Alema e il presidente e amico Franco Frattini. Con ciascuno ho avuto il privilegio di collaborare nei miei precedenti incarichi, traendone sempre un grande arricchimento professionale.

Il Presidente del Consiglio Mario Monti ha sottolineato in Parlamento che il nostro Governo di impegno nazionale è nato per affrontare, con spirito costruttivo e unitario, una situazione di emergenza che sta mettendo a repentaglio i cardini del progetto europeo. Le risposte a questa crisi passano attraverso una coesa azione di politica estera. Con uno sforzo di unità e di condivisione dobbiamo rafforzare la credibilità internazionale dell’Italia e assicurarle un ruolo da protagonista nel consolidamento della governance europea e globale perché mai come in questo periodo politica interna ed estera sono così strettamente collegate. C’è una forte domanda di Italia, quindi di nostra presenza, in Europa e nel mondo. L’Italia, diciamolo senza timidezze, è una potenza globale, europea e regionale. In questi ambiti, abbiamo un’importante responsabilità e una nostra missione, come italiani. Intendo, pertanto, sviluppare questa missione su quattro dimensioni fondamentali: la dimensione europea, transatlantica, mediterranea e globale. Sono queste le quattro dimensioni da promuovere, facendo leva sulla nostra capacità di dialogo e sui nostri tradizionali punti di forza, in particolare la ricchezza della nostra cultura, la proiezione all’estero del nostro sistema produttivo, il grande patrimonio costituito dagli italiani nel mondo e la cooperazione allo sviluppo.

Nel solco della tradizione comune a tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, la vocazione europea dell’Italia costituisce il primo caposaldo. Conveniamo tutti che dobbiamo agire per essere considerati un partner essenziale nei processi decisionali europei. Il Presidente del Consiglio ha evidenziato che la fine dell’euro trascinerebbe con sé l’intera architettura europea, che abbiamo costruito in più di mezzo secolo di pace in Europa. Ecco perché difendere l’euro non è un obiettivo soltanto finanziario, ma significa prima di tutto proteggere i valori di un grande progetto ideale. La crisi attuale può anche essere un’opportunità per l’Europa. Occorre, infatti, un salto di qualità, basato sul rispetto delle regole, sulla solidarietà, sul rafforzamento delle istituzioni e sul rilancio delle politiche comuni in settori chiave come quello fiscale e della difesa. In questa cornice si collocano gli incontri a Bruxelles del Presidente del Consiglio con i Presidenti Van Rompuy e Barroso, il vertice trilaterale a Strasburgo tra il Presidente Monti, il Cancelliere Merkel e il Presidente Sarkozy e i ripetuti colloqui telefonici del Presidente del Consiglio. Per parte mia, ho avuto modo di approfondire le tematiche dell’integrazione europea e dell’immediata azione dell’Italia in vista del Consiglio europeo nell’incontro con il Ministro degli esteri tedesco Westerwelle, che ha compiuto il significativo gesto di venire a Roma il giorno dopo la mia assunzione, e nei colloqui telefonici con molti altri colleghi europei, compresi quelli che incontrerò domani al Consiglio affari esteri. Il progetto di integrazione europea deve essere rilanciato anche per mantenere vive le prospettive di adesione per l’area balcanica e la Turchia, così come va accresciuto, ad avviso del mio Ministero, l’impegno europeo nel vicinato mediterraneo.

I valori transatlantici – il secondo punto che mi propongo di sviluppare – rappresentano una dimensione ben chiara della nostra politica estera. Un’Europa più forte anche nelle sue strutture per una difesa europea deve essere vista come un’evoluzione in crescita dell’Alleanza atlantica. Con il vertice di Lisbona, la NATO si è voluta aggiornare per fronteggiare le attuali minacce asimmetriche e al vertice di Chicago, previsto per il prossimo maggio, ci si concentrerà sull’Afghanistan e su quella che si definisce Smart Defense, ovvero la condivisione di assetti in un’epoca di risorse decrescenti. La dimensione transatlantica include anche, in una visione complessiva di sicurezza continentale, i nostri rapporti con la Russia, che rimane sempre più un partner per noi strategico sotto tutti profili. Continueremo, quindi, certamente a sostenere il Consiglio Nato-Russia, così come tutti gli strumenti di partenariato della NATO con i Paesi del Mediterraneo, del Caucaso, del Golfo, dell’Asia e del Pacifico.

La questione dell’impegno dell’Italia in Afghanistan si inserisce proprio in questo quadro. Il 5 dicembre sarò a Bonn alla conferenza incentrata sul processo di transizione e di consolidamento istituzionale del Paese. Ho appena consultato la mia controparte pachistana per esprimere rammarico per la sua decisione di non prendere più parte alla Conferenza di Bonn a seguito del tragico incidente per la nota azione compiuta ieri da forze della NATO. Ho sottolineato che il Pakistan resta sempre più un partner essenziale per la comunità internazionale al fine di ritrovare un percorso di stabilità e di crescita per l’Afghanistan. Ho avuto, tuttavia, dalla collega pachistana la sensazione diretta e immediata di una fortissima sofferenza per l’episodio di ieri, sul quale, peraltro, il segretario generale della NATO ha avviato un’indagine molto approfondita e tempestiva. Ciò nonostante, credo che questo evento lasci un trauma di natura politica, che si ripercuote anche sulla partecipazione di questo Paese nei principali consessi internazionali che riguardano l’Afghanistan, nei quali vorremmo, invece, che il Pakistan fosse ampiamente coinvolto. Ho ricevuto una diffusa descrizione delle decisioni parlamentari, prese addirittura con la maggioranza dei due terzi, e dell’intero Governo di non partecipare alla Conferenza di Bonn proprio per sottolineare la gravità di questo episodio.

Per quanto riguarda più in generale la questione afgana, d’intesa con il Ministro della difesa, valuteremo proposte specifiche sul futuro dalla cooperazione militare nel Paese. Sempre in generale, posso dire che la nostra azione continuerà a essere imperniata su formazione, sviluppo economico e diritti umani, con particolare attenzione alla condizione della donna e al contesto regionale, su quale aveva molto insistito, sia nell’ambito del G8 che in altri fora, il mio predecessore, onorevole Franco Frattini. D’altra parte, anche dopo il progressivo e concordato disimpegno militare, non dobbiamo certo ridurre l’impegno civile, né abbandonare l’Afghanistan a se stesso perché rischieremmo di pregiudicare la nostra sicurezza, di compromettere i successi ottenuti nella lotta al terrorismo internazionale e soprattutto di dare il senso di una insufficiente sensibilità alle questioni umane e allo sviluppo del Paese.

La terza nota che vorrei introdurre riguarda la dimensione mediterranea, dal Nordafrica al Medioriente, che rappresenta, per l’ Italia, dopo l’Europa, un punto di riferimento essenziale. Questa è un’intonazione che, in continuità con la politica estera italiana, vorrei assumere in maniera particolarmente incisiva per rispondere a un’attualità internazionale in rapidissima evoluzione nell’intera regione, ma anche per motivi di carattere geografico, politico, culturale ed economico che sono propri del nostro Paese. Abbiamo, infatti, interessi nazionali da sostenere e progetti da perseguire. Quindi, avvicinare il più possibile le due sponde del Mediterraneo significa creare opportunità economiche e generare stabilità. Il nostro coinvolgimento nella regione deve avvenire nel rispetto della ownership dei Paesi coinvolti perché le primavere arabe sono un momento forse unico affinché quelle popolazioni possano evolvere verso la democrazia e lo Stato di diritto. Di questo ho discusso ampiamente con numerosi colleghi dell’area, tra cui quelli arabi che ho incontrato pochi giorni fa in Kuwait nel corso della riunione G8-BMENA (Broader Middle East and North Africa), allargata ai Paesi mediorientali e nordafricani, un’occasione che ha confermato la validità di questa forma di interazione tra Governo e società civile nel sostenere ancora una volta la condizione femminile e soprattutto l’occupazione giovanile.

Consideriamo inoltre, incoraggianti gli sviluppi provenienti dalla Tunisia. Abbiamo seguito, invece, con molta apprensione i violenti scontri della scorsa settimana in Egitto, nella convinzione che il processo politico debba essere improntato al rispetto dei diritti umani e delle aspettative del popolo egiziano. Vi è stata ieri una straordinaria affluenza alla prima fase delle elezioni e il loro pacifico svolgimento è un ulteriore elemento rassicurante per una transizione democratica, basata su princìpi di moderazione e di pluralismo, anche se conosciamo le incognite relative alla fase estremamente complessa di devoluzione di poteri e di consolidamento costituzionale del Paese.

Quanto alla Siria, è chiaro che il Presidente Assad ha perso ogni legittimità e credibilità; difatti, il suo rapporto con la popolazione appare irrimediabilmente compromesso e gli stessi membri della Lega araba lo hanno messo al bando. Pertanto, prima o poi, egli dovrà trarne le conseguenze. L’Italia non è mai stata – come loro onorevoli e senatori sanno bene – entusiasta dello strumento sanzionatorio nell’affrontare le crisi internazionali. Tuttavia, in casi di violazione così grave dei princìpi umanitari e di dignità alla persona, si tratta di un percorso al quale dobbiamo necessariamente ricorrere.

Riguardo alla Libia, intendo seguire le linee condivise in Parlamento nei mesi scorsi. Questo è il momento della stabilizzazione e della ricostruzione. Il Primo Ministro Al Qeeb riscuote la nostra fiducia e, appena il suo Governo inizierà a funzionare, conto di recarmi a Tripoli per attivare forme di cooperazione a tutto campo, ai cui oneri, tra l’altro, la Libia sarà in grado di partecipare significativamente. In cima a queste priorità figurano il ripristino delle condizioni di sicurezza su tutto il territorio libico e un adeguato controllo delle frontiere marittime e terrestri. Resta, inoltre, veramente cruciale riattivare il Trattato di amicizia del 2008, una cornice unica che la Libia ha solo con il nostro Paese e che consente di intensificare efficacemente le relazioni bilaterali, peraltro già ottime.

Siamo anche partner privilegiati di Israele. Ritengo sia caratteristica precipua e merito dell’Italia quello di aver consolidato rapporti di così intensa amicizia con il popolo israeliano e con quello palestinese, oltre che con le rispettive autorità di governo. Il profondo equilibrio che ha guidato la nostra azione in Medioriente non deve essere frainteso in alcun modo con attenuazioni del principio fondamentale dalla sicurezza dello Stato israeliano e dei suoi cittadini in confini sicuri. Né vi è attenuazione del nostro impegno per la creazione di uno Stato palestinese. Su temi di questa complessità, il contributo che possiamo dare alla sicurezza e alla pace dipende proprio dalla chiarezza con cui intendiamo difendere questi valori fondamentali.

Sulla questione iraniana, sfortunatamente, da Teheran non giungono veri segnali di volontà di collaborazione sul dossier nucleare. Alle sempre più circostanziate preoccupazioni espresse anche con l’ultimo rapporto dall’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) circa la reale finalità del programma nucleare iraniano, continua a far riscontro da parte di quelle autorità una grave mancanza di trasparenza e di cooperazione. Agli inviti al dialogo negoziale da parte della comunità internazionale continua a corrispondere un atteggiamento palesemente evasivo. Siamo assolutamente convinti – come si rileva da affermazioni ripetute dei miei predecessori – che l’opzione militare sarebbe devastante; pertanto, per evitarla, caldeggiamo più severe forme di pressione diplomatica e soprattutto economica, oltre a un ulteriore allargamento delle misure adottate dall’Unione europea, discusse proprio in queste ore a Bruxelles e in altre sedi. In altre parole, l’Iran deve capire che il percorso intrapreso conduce solo al crescente isolamento diplomatico ed economico. Purtroppo, abbiamo vissuto, su un piano completamente diverso, che si collega, però, drammaticamente a queste problematiche, l’episodio intollerabile dell’attacco all’ambasciata britannica a Teheran, che mina – com’è facilmente comprensibile – i princìpi fondamentali su cui poggiano le relazioni tra gli Stati. A questo riguardo, ho già espresso piena solidarietà al Governo del Regno Unito e ho dato istruzioni alla nostra ambasciata a Teheran di offrire ogni possibile assistenza ai colleghi britannici.

Vorrei qui assicurare che la promozione dei diritti umani – qui entro nel merito di alcuni aspetti delle quattro dimensioni sulle quali mi sono soffermato, che corrispondono ai princìpi essenziali della nostra politica estera – continuerà a essere la nostra vera stella polare nell’azione internazionale. Sotto questo aspetto, sento il dovere di rendere omaggio al costante stimolo che la Farnesina ha sempre ricevuto dal Parlamento, in tutte le sue componenti, in questa direzione. L’abolizione o moratoria – ma in vista dell’abolizione – della pena di morte, i diritti delle minoranze, la libertà religiosa, la lotta contro le mutilazioni genitali femminili e contro la piaga dei bambini soldato sono tra i temi sui quali la diplomazia italiana si è qualificata in modo molto rilevante, in piena sintonia con il Parlamento e con la società civile. Sarà così anche in futuro. Anche a questo riguardo devo rendere omaggio alle iniziative e alla visione del Ministro degli esteri che mi ha preceduto, onorevole Franco Frattini.

Una panoramica d’insieme consente di affermare che l’Italia è una realtà globale, con interessi globali. Ciò è dimostrato dal ruolo di primo piano che, grazie al sostegno assicurato dal Parlamento, l’Italia ha nella sicurezza internazionale attraverso le missioni di pace dell’ONU, della NATO e dell’Unione europea. Sempre a livello globale, la Farnesina continua a promuovere il sistema Paese come fattore cruciale per la crescita e la ripresa economica dell’Italia ed è nostro punto di forza indubbio la qualità delle imprese italiane, che devono essere in condizione di competere a livello internazionale, come competono le nostre eccellenze culturali. Continuerà, pertanto, a essere una priorità rafforzare il radicamento delle imprese italiane nel mondo e gli investimenti esteri in Italia. In questo contesto, conto di proseguire la stretta collaborazione, che per la verità si è già instaurata anche sul piano personale, con il Ministro dello sviluppo economico.

In America latina, Africa e Asia, le nuove potenze emergenti – molte delle quali sono nostri partner nel G20 – offrono opportunità politiche ed economiche straordinarie che dobbiamo e intendiamo cogliere sia sul piano bilaterale, per la promozione del sistema Italia, sia per costruire una governance globale più inclusiva e rappresentativa e quindi più efficace. Dobbiamo – ripeto – cogliere queste opportunità e consolidare con questi Paesi delle partnership strategiche sui temi cruciali della governance economica, della lotta al terrorismo e alla pirateria, del contrasto ai cambiamenti climatici e della non proliferazione.

L’Italia è – come dicevo all’inizio – soprattutto un Paese portatore di un’immensa cultura e di fondamentali valori del pensiero. Dobbiamo rendere sempre più la nostra cultura un asset strategico, anche per i riflessi economici che ne derivano. Sono convinto, dunque, che sia necessario ragionare in un’ottica di economia dalla cultura, che faccia, appunto, della cultura un volàno di nuove opportunità anche per il sistema delle imprese.

Registriamo nel mondo una crescente domanda di apprendimento della lingua italiana. Negli ultimi anni, i dati dimostrano che la diffusione dell’italiano, ad esempio negli Stati Uniti, è in crescita. Si tratta, peraltro, stando ai dati di cui disponiamo, dell’unica in incremento tra le lingue europee. Emerge, così, che la globalizzazione aumenta, anziché ridurle, le potenzialità della nostra lingua perché essa è sempre più sinonimo di ingegno, creatività, innovazione e come tale viene riconosciuta.

Vi è, poi, il grande patrimonio degli italiani nel mondo, che è una delle più importanti risorse che l’Italia vanta a livello globale e che costituisce una ricchezza inestimabile – come ha ricordato il Presidente Monti – per tutto il Paese. La storia degli italiani dell’emigrazione, ma anche la realtà contemporanea della presenza dei nostri connazionali nel mondo, è costruita su valori che hanno assicurato innumerevoli successi a beneficio del Paese. Essi hanno raggiunto un livello di assoluta eccellenza e prestigio sul piano culturale, scientifico e imprenditoriale, conseguendo traguardi che dobbiamo valorizzare come esempio. Sotto questo aspetto, un caso emblematico è stato il caloroso intervento del Presidente Obama al recente incontro della NIAF (National Italian American Foundation), a fine ottobre a Washington, nel quale il Presidente degli Stati Uniti ha riservato un amplissimo credito ai nostri concittadini.

Questo Parlamento ha approvato, con spirito bypartisan, la legge per agevolare il rientro in Italia dei nostri talenti culturali e scientifici. Il Ministero degli esteri si è attivato per far conoscere il più possibile queste norme all’estero. È, pertanto, mia convinzione che gli organismi rappresentativi delle nostre comunità debbano continuare a svolgere il lavoro – per la verità encomiabile – che hanno portato avanti sinora nelle diverse realtà geografiche, spesso con un loro forte impegno di volontariato. Essi rappresentano una risorsa e dobbiamo continuare ad avvalercene. In quest’ottica va considerata l’ipotesi di riforma dei Comites (Comitati degli italiani residenti all’estero) e del CGIE (Consiglio generale degli italiani all’estero), sui quali vi sono diversi progetti d’iniziativa parlamentare, tra cui, soprattutto, quello già approvato in prima lettura al Senato che offre un’occasione particolarmente propizia. La Farnesina intende assicurare un contributo tecnico e di riflessione per l’ulteriore iter del provvedimento.

Ho ben presente, inoltre, anche l’attenzione con cui seguite il processo di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare, a fronte di una compressione di risorse drastica – vorrei dire addirittura dire dolorosa – per l’amministrazione e anche per le componenti umane che ne fanno parte. L’indagine conoscitiva del Parlamento è di fondamentale importanza in questo senso. Intendo avvalermi di ogni possibile ulteriore indicazione da parte del Parlamento per poter realizzare un piano di azione strutturato, che resti compatibile con il fondamentale ruolo, cui ho appena fatto cenno, delle collettività italiane nel mondo per sostenere la nostra posizione culturale ed economica. Ho chiesto, quindi, all’amministrazione di avviare in tempi rapidissimi una vera e propria spending review su tutte le componenti di spesa, come quelle relative alle strutture e agli organici, alle funzioni esercitate, nonché ai costi di gestione e di investimento. In questo quadro, non posso che condividere fortemente l’esigenza di trasparenza e consultazione che mi è stata rappresentata da più parti.

La cooperazione allo sviluppo è e deve continuare a essere una grande opportunità per l’Italia, oltre che un dovere morale della nostra politica estera. Da essa dipendono la sicurezza e la prosperità anche della nostra realtà, delle nostre aziende e dei nostri operatori, nella loro capacità di continuare a essere visti come responsabili protagonisti della governance globale, di cui lo sviluppo è parte essenziale. Per queste ragioni, abbiamo salutato con grande favore e ammirazione la nomina di un Ministro dalla cooperazione internazionale e dell’integrazione, che rappresenta una vera opportunità per arricchire la visibilità, anche politica, del nostro aiuto allo sviluppo e per affinare gli indirizzi e le modalità di attuazione. Questo obiettivo potrà essere raggiunto sin dall’immediato, sfruttando, a legislazione vigente, tutte le possibilità offerte dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, attraverso una cabina di regia che valorizzi l’apporto di tutte le componenti disponibili. L’aiuto pubblico va, infatti, sempre più concepito come volàno essenziale di una solidarietà che attrae investimenti e iniziative di volontariato e si coordina con le politiche economiche e finanziarie. Continueremo, in particolare, a promuovere un approccio olistico in cui le strategie nazionali rendano coerenti non solo gli aiuti, ma anche l’iniziativa dei privati. I nostri interventi restano fondamentali per rispondere alle drammatiche emergenze umanitarie in scacchieri cruciali, come il Corno d’Africa, dove operiamo per alleviare non solo le sofferenze delle popolazioni, ma anche per contribuire alla stabilizzazione di queste aree di crisi.

Signori presidenti, onorevoli senatori, onorevoli deputati, vorrei concludere queste osservazioni, sottolineando un aspetto che ritengo cruciale per le priorità che vorrete indicarmi. La Farnesina si è sempre impegnata a rafforzare nel mondo la credibilità del Paese e a sostenere l’interesse nazionale. È intenzione di tutti coloro che lavorano al Ministero impegnarsi ancora di più in una fase così delicata. Come ha sottolineato di recente il signor Presidente della Repubblica, le numerose iniziative, in Italia e all’estero, con cui abbiamo celebrato il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia hanno messo in luce le radici profonde della nostra coesione nazionale e della nostra responsabilità condivisa, che sono i pilastri di quella credibilità internazionale che il Ministro degli affari esteri, con il vostro aiuto, ne sono certo, continuer�� a promuovere. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. Onorevoli colleghi, in accordo con il presidente Dini, abbiamo deciso di dare la parola, in una prima tornata, a uno di voi per Gruppo e poi, a seguire, agli altri. Ho al momento 17-18 iscritti a parlare; vi chiedo, pertanto, di contingentare i tempi. Se siete d’accordo, concederei tre minuti a ciascun oratore. È chiaro che per i primi interventi della prima tornata cercherò di essere più elastico. Domando l’autorizzazione di procedere in questo modo perché l’Assemblea è sempre sovrana.

Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO FRATTINI. Signor ministro, la sua relazione è convincente e completa. In essa mi riconosco in pieno e credo che le si debba dare atto di avere anche cuore e visione per svilupparla, non solo la conoscenza che tutti, in quest’Aula e non solo, le ascrivono. Mi limiterò, quindi, ad alcune sottolineature, immaginando che una larghissima maggioranza parlamentare sosterrà le ambiziose linee di sviluppo che lei oggi propone.

Innanzitutto, occorre pensare a un’Europa senza direttori e più politica; insomma, un’Europa che coinvolga e non escluda. Queste sono le linee guida a cui credo che l’Italia debba continuare – come lei ha detto e il Presidente Monti ha ripetuto – a ispirarsi. In questo quadro sento di dover dire che le regole, comprese le riforme dei Trattati di cui si sta parlando, devono e dovranno essere la conseguenza di forti scelte politiche e non azioni indipendenti da queste. Occorre, quindi, adottare un pacchetto organico di misure, non una misura dopo l’altra.

L’alleanza transatlantica è un punto chiave del suo intervento che, come gli altri, condivido in pieno, sottolineando un aspetto in particolare. Questa nuova prospettiva che si sta rafforzando ci porta non solo a immaginare un più forte metodo multilateralista, quindi un partenariato tra eguali rispetto a un passato che vedeva, oggettivamente, gli Stati Uniti d’America agire, invitando gli altri a seguire, ma comporta anche più responsabilità per l’Europa. Questo vuol dire essere sempre più produttori e non più solo consumatori di sicurezza e rilanciare – signor Ministro – quell’idea di una difesa europea comune che so esserle particolarmente cara, come all’attuale Ministro della difesa e ai vostri rispettivi predecessori, cioè a me e al mio collega La Russa. Ritengo, infatti, che la difesa europea comune sia un ulteriore sviluppo di quell’Europa politica in cui la larga maggioranza dei presenti crede.

Anche in relazione al Mediterraneo condivido in pieno l’attenzione per il rispetto delle scelte dei popoli e dei Paesi, quindi la ownership dei processi. Posso sintetizzare il mio pensiero dicendo che, da parte dell’Italia e dell’Europa, occorre non solo visione, ma un investimento vero e proprio su Paesi e popoli per evitare che siano frustrate le attese di quei milioni di giovani scesi nelle piazze. È chiaro che, ove ciò accadesse, ove, cioè, dignità, diritti, pane e lavoro non accompagnassero lo sviluppo della cosiddetta «primavera araba», se ne avvantaggerebbero grandemente le forze estremiste. Abbiamo, pertanto, un interesse affinché la primavera araba non evolva in una frustrazione delle grandi attese.

Da ultimo, vengo alla questione dei diritti umani. La ringrazio di avere ricordato quanto mi era e mi è caro questo tema. Su questo, quindi, non aggiungo altro. Faccio, però, una battuta finale sul tema dell’Africa, di cui più volte avemmo occasione di parlare nel suo precedente incarico, che deve divenire attore protagonista nella governance globale e non più solo destinatario delle risorse dei Paesi ricchi.

Questo mi porta a dire che, in questo quadro, la riforma delle Nazioni Unite e del Consiglio di sicurezza sarà – come so essere per lei – una priorità altrettanto importante che non in passato, evitando provvedimenti che porterebbero alla mera moltiplicazione dei seggi permanenti e pensando, al contrario, a una soluzione largamente consensuale nella base assembleare dell’ONU, con un riferimento forte che per l’Europa non può che essere il seggio europeo al Consiglio di sicurezza.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor ministro, vorrei esprimerle i miei auguri di buon lavoro, sottolineando che la base di partenza del suo lavoro risiede, per quello che riguarda il Parlamento, in quell’insieme di momenti unitari che abbiamo costruito nel corso della legislatura e che rappresentano un’acquisizione non equivoca di volontà politica e di orientamenti che si sono costruiti, pur in presenza di un confronto politico aspro e difficile sulle questioni generali del Paese. Sulla politica estera abbiamo salvaguardato, per alcuni versi, momenti di confronto unitario. Si parte, pertanto, da questi.

Per venire ai temi che lei ha voluto indicare, in una prima rivista di grandi questioni la prima che abbiamo di fronte è certamente quella europea, che lei ha messo in cima all’agenda. Essa rappresenta, infatti, il nodo fondamentale. Quando entreremo nel merito, avremo modo di cogliere le sue implicazioni ormai evidenti. Solo un passo avanti forte sul terreno dell’unità politica, e quindi anche su quello della democrazia, può salvare la costruzione europea. Questo, peraltro, non può non avere conseguenze su alcuni dossier che abbiamo, colpevolmente, tenuto in secondo ordine. Penso, per esempio, alla difesa europea che, inevitabilmente, dovrà avere o tornare ad avere un ruolo da protagonista.

Insomma, pensiamo all’Europa come cuore della nostra politica estera e interna, quindi come il centro della nostra iniziativa che, sotto questa declinazione, ci consente di avere anche una politica mediterranea e transatlantica, oltre che una politica per l’altra grande questione che considero prioritaria, ovvero quella del contributo italiano ed europeo alla costruzione e al rafforzamento di una nuova governance globale, nella accezione più larga del termine. Questo è, tra l’altro, il grande insegnamento che proviene da questa grande crisi che il mondo globalizzato, e la sua parte occidentale in particolare, sta vivendo. Il punto essenziale è la costruzione di una governance fondata su nuove regole e sulla capacità della politica, intesa in senso nobile, di ricoprire il ruolo che le compete per dare equilibri nuovi alla governance mondiale.

Dentro questo schema di fondo, restano immutati i valori tradizionali della politica estera italiana e principalmente l’orientamento che vede nel consolidamento dei processi per lo Stato di diritto, per la democrazia e, in una parola, per la tutela dei diritti umani una stella polare – come lei ha detto – che deve orientare la nostra politica. Sappiamo che questa scelta si declina essendo consapevoli degli errori che, anche su questo terreno, sono stati commessi in alcuni punti dello scacchiere della politica internazionale in quest’ultimo decennio.

Dagli errori nasce, però, anche la capacità di guardare avanti. Oggi abbiamo la possibilità di affrontare con uno spirito maturo queste questioni. Un grande contributo in questo senso proviene dall’amministrazione Obama, che dà forza a questa nuova declinazione. Ciò va fatto, anzitutto, nello scacchiere del Mediterraneo. A questo proposito, le sue parole sulla Siria sono convincenti. Abbiamo sentito, peraltro, anche le dichiarazione che ha fatto a Istanbul. Nel Mediterraneo, abbiamo tuttavia a che fare con processi non ancora conclusi; anzi, forse, alcuni di essi sono solo all’inizio e vanno affrontati con spirito di equilibrio. Per quello che riguarda il conflitto mediorientale, registro le sue parole. L’Italia ha bisogno di tenere ferma la politica dei «due Stati, due popoli», ma deve implementarla e fare di tutto affinché in questa area vi sia una diminuzione della tensione.

Signori presidenti, arrivo rapidamente alla conclusione, limitandomi ad osservare – poi il senatore Tonini, mio collega, affronterà la questione del modo in cui il ministero si potrà concretamente muovere – che lei ha accennato all’ipotesi di gestire l’introduzione del Ministero per la cooperazione, che accogliamo molto positivamente, all’interno di una legislazione invariata, utilizzando la legge n. 49 del 1987. Ebbene, mi consenta di dire che questo è un argomento che credo sia interesse di tutti discutere e approfondire.

D’altra parte, senza introdurre elementi di polemica, voglio dire che se c’è un calo di credibilità dell’Italia e dell’azione politica italiana nella proiezione internazionale, questo certamente va messo in relazione con la cooperazione internazionale, che è stato uno dei punti più negativi. Da questo punto di vista, signor ministro, la invitiamo a cogliere queste osservazioni puntuali perché abbiamo bisogno di un’inversione di rotta, essendo questo uno dei capitoli sui quali si gioca la credibilità di un Paese, che deve essere capace di stare sulla scena internazionale tra gli altri grandi Paesi con i quali vogliamo misurarci, stabilire e mantenere partnership adeguate al livello di civiltà che intendiamo promuovere nel mondo.

Il tema è, quindi, il recupero di credibilità del nostro Paese. Questa, signor ministro, è la grande sfida a cui è chiamato.

GIANPAOLO DOZZO. Anche io vorrei ringraziare il ministro per l’esposizione delle linee programmatiche che ha voluto presentare a queste Commissioni riunite. Procedo molto velocemente, ponendo alcune questioni, visto che lei ha toccato alcune situazioni internazionali più o meno critiche.

Per esempio, vorrei porre la questione delle 33 missioni internazionali che abbiamo in questo momento. Ecco, data la nostra – io appartengo al Gruppo della Lega nord – perplessità, che abbiamo sempre dimostrato in merito ad alcuni interventi che stiamo maturando in varie parti del mondo, al di là delle proroghe e delle conversioni di decreti che abbiamo sempre votato, mi chiedo se lei ritiene che via la possibilità di un cambiamento di rotta. Vorrei capire, cioè, la sua posizione per quanto riguarda la missione UNIFIL in Libano, dove abbiamo impegnato 1.500 uomini, con costi importanti. Ciò, tuttavia, non ha impedito a Hezbollah di organizzarsi nel sud del Paese. Occorre, secondo noi, rivalutare queste questioni e ci chiediamo se nel suo programma intende prenderne atto.

Passo, ora, alla questione della Libia. Il 31 ottobre è terminata la missione. Ciò nonostante, il Comitato di transizione nazionale ha chiesto una proroga. Vorrei sapere, allora, cosa si è deciso nella riunione di Doha del gruppo di Paesi amici della Libia, alla quale ha partecipato il Capo di stato maggiore della difesa, generale Biagio Abrate. Si parla di un probabile intervento a terra per agire sulle varie fazioni che non hanno nessuna intenzione di deporre le armi. Ci chiediamo, quindi, quale sarebbe la nostra posizione in merito, se è vero che in un futuro si possa ricorrere a questa misura.

Sempre per rimanere a temi relativi alla Libia, vorrei chiedere la sua posizione sulle piccole e medie imprese italiane che sono presenti nel Paese e che, in questo periodo, hanno perso molto denaro. A questo proposito, vorrei ricordare le diverse mozioni che abbiamo votato all’unanimità, sia in Parlamento che in Commissione, per gli aiuti a queste imprese.

Da ultimo, visto che ha affermato che occorre una cabina di regia sulla cooperazione, vorrei farle notare la questione ormai pressante del Corno d’Africa, con 13 milioni di persone al limite dello stremo. Anche su questo, come Parlamento e come Commissione, abbiamo votato delle mozioni per far sì che vi sia incremento delle risorse messe a disposizione per questa zona. Ecco, spero che, attraverso questa nuova cabina di regia che dovrebbe tenersi – se non ho capito male – con il nuovo Ministero della cooperazione, vi possa essere un aiuto concreto verso questa regione.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Ministro, auguro buon lavoro a lei e al qui presente sottosegretario Dassù. Scherzando affettuosamente, anticipo che, non volendo sentire la campanella del presidente Stefani, mi limiterò a dei titoli di capitoli. In linea generale, condivido la sua illustrazione, quindi mi atterrò a rispondere alla sua richiesta, fornendo qualche traccia che possa farle capire le nostre posizioni.

Sicuramente ricorderà che una delle più stimate riviste italiane di geopolitica, Limes, nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, titolò un suo fascicolo «A che serve l’Italia?». Ebbene, io credo che quella domanda sia ancora aperta e che da allora non si vedono risposte. Per qualche verso, negli ultimi tempi, abbiamo sentito di essere addirittura un peso e di rappresentare una zavorra rispetto ad alcuni processi, specialmente europei. È chiaro che, non essendo stata data risposta per tanti anni, non si pretende che si risponda in questo anno di Governo. Tuttavia, credo che – questa è la prima indicazione – abbiate il dovere di dare qualche traccia, cominciando un percorso che porti a dare una risposta a questa domanda.

Il primo punto è sicuramente l’Europa. Se, come ha detto il Presidente del Consiglio, facciamo i compiti a casa e se riusciamo a farli forti della coesione che si è creata in Parlamento, testimoniata anche dall’intervento dell’onorevole Franco Frattini, penso che dobbiamo essere tra i Paesi dell’Europa quelli che – beninteso, una volta fatti i compiti a casa – più ripropongono il tema dell’Unione politica; ciò non per il legame sentimentale con De Gasperi e quant’altro, ma soprattutto perché è molto probabile che, senza unione politica, neppure le crisi economiche trovino una soluzione definitiva, costringendo l’Europa a traballare senza aver risposto a questo interrogativo. Ecco, l’Italia serve, tra gli altri aspetti, a questo, visto che non c’è Paese che più dell’Italia possa porre pubblicamente, non solo nella diplomazia, tale questione. Questo Governo ha il dovere di intervenire in questo senso, mentre – ripeto per evitare di essere equivocato – facciamo i compiti a casa, senza i quali non abbiamo neppure il titolo per essere ascoltati.

La seconda questione – quella del Mediterraneo, della primavera araba e del Medio Oriente – è già stata ampiamente trattata, quindi non mi dilungo. Sono questioni complesse, sulle quali l’Italia, nella continuità della sua politica estera, deve ritrovare un ruolo che in qualche modo si è smarrito. Mi riferisco, in particolare, alle vicende della Libia. Più in generale, da anni tutti diciamo che il Mediterraneo è il futuro. Tuttavia, questa proposizione rimane spesso una vaga aspirazione retorica, mentre credo che debba essere presa sul serio, assumendo peso, signor Ministro, nella sua agenda politica.

La terza e ultima questione riguarda il tema dei diritti umani. Ho apprezzato molto la sua sottolineatura in merito, in continuità con quello che è stato fatto in passato. Ha, poi, evidenziato anche le occasioni straordinarie, politiche ed economiche, che possono derivare dalle relazioni con i nuovi Paesi emergenti. Ho, però, l’impressione che si troverà di fronte a una contraddizione perché le opportunità di relazione commerciale ed economica spesso confliggono con l’attenzione al rispetto diritti umani. Non mi riferisco solo alla Cina e al fatto che, negli ultimi mesi, in Tibet vi sono stati undici suicidi, disprezzati, ma anche segnalati dal Dalai Lama come l’esito di una disperazione rispetto a una questione di diritti umani, ma anche di fede religiosa, che lei ha citato nella sua relazione.

Questa è una questione aperta davanti a noi che la inviterei a fare oggetto di un’analisi, prima ancora che di un intervento. Infatti, prima occorre un’analisi, altrimenti corriamo il rischio che la globalizzazione, che dovrebbe inaugurare un’epoca di libertà in generale, finisca per condurre a un periodo di restrizione dei diritti umani. Paradossalmente, durante la guerra fredda, con le due grandi potenze che tutelavano i loro Stati satellite e le loro zone di influenza, come si diceva, era più difficile trovare cose gravi che passavano davanti agli occhi del mondo. Adesso, invece, può succedere che si violino i diritti umani mentre stiamo zitti nell’indifferenza o peggio concludiamo trattati commerciali con i Paesi responsabili di queste violenze.

Ovviamente, non si possono interrompere i rapporti commerciali, perciò questo tema è assai importante e delicato e chiama in causa gli organismi internazionali e gli strumenti nuovi di cui essi si devono dotare. In questo, credo che l’Italia possa essere in prima fila. Proprio la cultura che – come lei ha sottolineato – rappresentiamo ci può far trovare un ruolo nel mondo, soprattutto se riusciamo a essere in prima fila sulla questione dei diritti umani, che nessun altro Paese può porre al mondo con la stessa forza dell’Italia.

GIANNI VERNETTI. Mi associo alle parole di apprezzamento per le linee di indirizzo illustrate dal neoministro Giulio Terzi, che molti dei presenti hanno avuto modo di conoscere, collaborando con lui e ammirandolo in questi anni. Apprezzo, in particolare, la conferma dei pilastri fondamentali della nostra politica estera, come l’integrazione europea, la difesa europea e le relazioni transatlantiche. Penso anche che i primissimi gesti del Presidente del Consiglio siano andati positivamente in quella direzione con alcuni segnali anche simbolicamente forti, come l’incontro di Strasburgo già richiamato.

Tuttavia, credo che vi sia uno spazio per una nuova e originale iniziativa per l’Italia nel Mediterraneo. Ereditiamo il recente fallimento dell’Unione per il Mediterraneo, fondata, sostanzialmente, sull’accordo Sarkozy-Mubarak, saltato quando è mancato uno dei due principali pilastri di quell’asse. Ritengo, quindi, che si apra un grandissimo spazio in questo momento.

La vera risposta alle primavere arabe, quindi al sommovimento politico, è di dare, in primo luogo, sostegno concreto alla transizione democratica. Infatti, accanto al tema della tutela dei diritti umani affiancherei, anche dal punto di vista semantico, il tema della promozione e del consolidamento della democrazia, che deve essere oggetto di azioni concrete e di politiche strutturate. Questo tema comprende qualcosa di più della semplice tutela dei diritti umani laddove vengono negati, con violazioni massicce come in Siria o in Iran. Ciò nonostante, ritengo che la risposta vera alla primavera araba sia l’offerta di uno spazio politico comune, che oggi non esiste, essendo, appunto, fallito il tentativo dell’Unione per il Mediterraneo.

Peraltro, visto che le iniziative sulla partnership sono in fase iniziale, credo che in questo ambito vi possa essere un ruolo originale dell’Italia. Signor Ministro, su questi temi avrà il consenso larghissimo di questa maggioranza, anche perché forse la politica estera rappresenta il terreno più semplice per un Governo con una maggioranza così ampia.

In questo contesto, per rimanere nei tempi, voglio proporre solo qualche titolo. Sulla Siria, credo debba intensificare i rapporti con il Consiglio nazionale di transizione siriano, che il Ministro Frattini ha incontrato in uno dei suoi ultimi impegni, cosa che abbiamo, peraltro, apprezzato. Occorre, inoltre, costruire un punto di osservazione nei confronti dell’Iran, che nei prossimi dodici mesi rappresenterà una vera e pericolosissima sfida alla sicurezza non soltanto di Israele, ma globale. Da questo punto di vista, è necessaria la costruzione di una coalizione politica ampia, che includa rapidamente i Paesi moderati del Golfo, l’Arabia Saudita e la Turchia proprio sul tema del contenimento dell’Iran. Questa è una vera priorità, da svolgere nel tempo del suo mandato, da qui alla scadenza della legislatura.

Un’ultima battuta riguarda la Somalia. Accolgo alcune riflessioni sull’Africa e penso che sia il momento giusto per riprendere un protagonismo italiano in questo Paese. Al momento, vi è un’iniziativa militare importante e positiva di due Paesi confinanti, il Kenya e l’Etiopia, sostenuta dalla comunità internazionale; vi è, forse, per la prima volta, anche un intervento AMISOM (African Union Mission in Somalia) con soldati di Uganda e Burundi che riesce finalmente a rendere sicura una zona più ampia dell’aeroporto e quattro isolati tra l’aeroporto e Villa Somalia; vi è, infine, una situazione di emergenza e di carestia pazzesca; senza considerare che il Somaliland si è avviato verso un’indipendenza de facto.

Ecco, penso che per l’Italia questo sia il momento giusto di assumere, nell’ambito dell’Europa, una posizione di leadership per riprendere un’iniziativa politica di conciliazione, pacificazione, stabilizzazione e sicurezza della Somalia.

MARGHERITA BONIVER. Ringrazio il Ministro, che ha illustrato in modo egregio la tradizionale politica estera dell’Italia. Siamo sempre più convinti che, soprattutto in questa fase, sia necessario tenere la barra sui quattro grandi capitoli che lei ha elencato, l’Europa, l’Atlantico, il Mediterraneo e la dimensione globale.

Sul primo aspetto, credo sia di assoluto interesse, non soltanto del Parlamento ma del Paese, sapere nei minimi dettagli ciò che per il momento leggiamo sui giornali, visto che aspettiamo il 5 dicembre per conoscere le misure promesse dal Presidente Monti, ovvero che cosa significa esattamente la revisione dei Trattati, che si presume riguarderà un futuro ruolo della Banca centrale europea, l’ipotesi di unione fiscale e così via. La domanda molto diretta è quanta quota di sovranità nazionale dovremmo cedere per giungere a questo tipo di revisione.

Sulla dimensione atlantica, siamo alla vigilia di una NATO’s Strategy Review. Credo che sia anche molto interessante, visto che sono previsti tagli monumentali alla spesa del Pentagono, scoprire quale sarà il ruolo degli Stati Uniti nei prossimi mesi e anni, in vista non soltanto della riduzione delle risorse, ma anche di quello che è sembrato un profondo cambiamento di strategia, perlomeno riguardo alle vicende libiche, con questa nuova leadership from behind. Questo può voler significare che d’ora in poi gli Stati Uniti si vorranno ritagliare una dimensione molto più felpata e indiretta di quanto abbiano fatto in passato. Se così fosse, cosa implica questo per il nostro interesse nazionale?

Signor Ministro, si è soffermato anche sulla futura convocazione a Bonn nel decennale della costituzione dell’Afghanistan, alla quale, in questa occasione, verrà a mancare la partecipazione del Pakistan, cosa gravissima perché tutti coloro che si sono occupati della questione sanno, fino alla nausea, che senza un ruolo convinto, strategico e fondamentale del Pakistan non c’è possibilità non dico di soluzione, ma neppure di compiere passi in avanti per l’Afghanistan, Paese nel quale l’Italia si è immensamente prodigata, non solo sul piano militare, pagando un altissimo prezzo di sangue.

Sul Pakistan, siamo stati tutti – non soltanto l’Italia – succubi dell’ipotesi di percorso impostata dagli Stati Uniti che, dopo l’uccisione di Osama Bin Laden qualche mese fa, ha provocato una fortissima reazione nelle istituzioni pachistane, portando a una quasi rottura dei rapporti con gli Stati Uniti e quindi a un momento di grandissima tensione.

Riguardo ai tumultuosi mesi che ci hanno preceduto, con la fine sostanziale del format del G7-G8, fino ad arrivare all’attuale G20, dobbiamo anche registrare la fine del nucleare, non soltanto a seguito degli eventi di Fukushima, ma anche dopo la decisione di Angela Merkel di chiudere alcune centrali nucleari in Germania. Come Paese totalmente dipendente dalle importazioni di petrolio e di gas, vorrei chiederle un aggiornamento costante sulla dimensione energetica della nostra politica estera. A questo proposito, viene spontaneo nominare i Paesi dai quali siamo maggiormente dipendenti per le nostre importazioni, come l’Iran e la Libia, ma anche la Nigeria e molti altri.

GIORGIO TONINI. Anch’io rinnovo gli auguri di buon lavoro che abbiamo già rivolto al Ministro in Aula al Senato. Auguro buon lavoro anche al sottosegretario Dassù, qui presente, e al sottosegretario De Mistura, che credo rappresenti un grande acquisto per la politica estera italiana, vista la sua grande esperienza in campo internazionale. Il presidente Dini è testimone del fatto che io cito sempre una relazione di Marta Dassù a un convegno della Fondazione Italianieuropei di qualche anno fa, in cui diceva che c’è un divario crescente nella politica estera italiana tra le nostre ambizioni e le nostre risorse.

Siamo in una fase nella quale – come si diceva in quella relazione – o riduciamo le ambizioni o aumentiamo le risorse poiché è difficile voler fare politica globale con risorse da piccola potenza regionale. Siamo, però, anche in tempi nei quali di tutto si può parlare tranne che di aumentare le risorse. Questo Governo nasce, peraltro, proprio con il fine opposto, quindi certamente dovremmo spero non ridurre, ma certamente ristrutturare le nostre ambizioni, individuando delle priorità precise. Questo è un lavoro sul quale bisognerà applicarsi, insieme a un altro aspetto, ovvero come aumentare la produttività delle nostre risorse. Penso che, in generale, questa sia una mission importante per qualunque ministro degli esteri in uno scenario come questo, ma tanto più per un ministro degli esteri di questo Governo in questo momento per il nostro Paese.

Credo che non si possa aumentare la produttività – ovvero far valere di più, in termini politici, le risorse scarse di cui disponiamo – con la logica dei tagli. Le decurtazioni introdotte, necessariamente e doverosamente, con l’ultima legge di stabilità portano, paradossalmente, a un abbattimento della produttività del ministero. Insomma, con le stesse spese fisse sembra si facciano meno politiche. Tutti i dossier politici importanti del Ministero degli esteri sono stati tagliati; alcuni addirittura falcidiati, per esempio, la cooperazione allo sviluppo è stata azzerata, per gli italiani nel mondo le risorse si sono ridotte al lumicino, così per l’insegnamento della lingua italiana, per gli Istituti italiani di cultura, per gli sportelli per le imprese e, in generale, ciò che deve sostituire la tradizionale presenza dell’ICE.

Perfino sulla rete diplomatico-consolare si può agire secondo una logica di tagli che mortificano i servizi, senza ridurre la spesa. Questa logica non ci porta da nessuna parte, per cui dobbiamo adottarne a un’altra, che, peraltro, è divenuta legge dello Stato grazie alle manovre di luglio e agosto in cui è stato inserito il principio della spending review. Penso che una delle sfide importanti, apparentemente di retrovia, riguardi la ristrutturazione e la riorganizzazione della catena logistica, senza la quale non si fa nessuna guerra e nemmeno l’attività diplomatica. Credo che la sfida principale in questo momento sia come incidere in maniera significativa sulla spesa corrente, in particolare ristrutturando la spesa del personale, ben sapendo che si tratta di misure non popolari, ma necessarie per recuperare risorse per le politiche a bilancio invariato, visto che – ripeto – risorse aggiuntive non ce ne saranno, anzi sarà già tanto se non ci sarà un’ulteriore riduzione.

Da questo punto di vista, ci aspettiamo, signor Ministro, di poter lavorare presto insieme nelle Commissioni per approfondire questi aspetti, assicurandole tutta la comprensione e la collaborazione perché sappiamo che è un compito molto difficile. A ogni modo, dobbiamo riuscire a recuperare risorse dalla nostra rete diplomatico-consolare, in particolare dall’uso ottimale delle risorse umane, per poter tornare a fare politica, rifinanziando quei dossier che oggi sono poco più che un titolo di capitoli di bilancio desolatamente vuoti. In questa direzione non possiamo più procedere.

Nell’augurale ancora buon lavoro, le chiedo, quindi, un impegno particolare in questo settore.

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Signor Ministro, anch’io procederò in maniera sintetica, visto che il tempo è tiranno. Mi associo ai ringraziamenti che ha già ricevuto da tutti gli intervenuti fino a questo momento. Saranno numerosi e delicati i dossier di politica estera che dovrà affrontare. Ha elencato, poi, le quattro dimensioni su cui agire, anche se dalla sua relazione appare già chiaro che il ruolo dell’Italia come protagonista in Europa e nel mondo è uno degli obiettivi primari del programma, cosa che ci rinfranca molto, collocandosi in continuità con la politica estera finora seguita dal nostro Paese.

In particolare, vorrei soffermarmi un momento sul posizionamento e sul ruolo dell’Italia nel contesto politico ed economico del Mediterraneo. Abbiamo, infatti, uno scacchiere molto particolare. Il Marocco è appena andato al voto. L’Egitto è un Paese chiave in cui vi sono scenari ancora molto confusi e che ha iniziato – con successo, visto il numero di partecipanti – un lungo e delicato processo elettorale. La Tunisia e la Libia hanno cambiato radicalmente volto rispetto a un anno fa. In Siria si vivono ore drammatiche. La Turchia sta ormai assumendo un ruolo di leadership tra i Paesi arabi.

Abbiamo apprezzato, a questo proposito, quanto ha sostenuto nella visita fatta in Turchia, durante la quale ha fortemente insistito che bisogna mantenere questo Paese sempre più vicino all’Europa. Ieri l’incontro con il presidente della Commissione esteri del Parlamento turco ha rinsaldato la comune intenzione di continuare a collaborare con la Turchia, affinché resti, appunto, vicino all’Europa.

Su Israele ha detto parole molto chiare. È chiaro che, in questo scenario, il ruolo dell’Italia deve e può essere di protagonista, usando, però, tutti gli strumenti necessari, tra i quali la funzione prioritaria dell’azione intergovernativa, senza dimenticare ciò che facciamo anche sul piano della cosiddetta «diplomazia parlamentare». Mi riferisco a quanto ha detto anche il collega Vernetti sul fatto che l’Unione del Mediterraneo è fallita. Esistono, però, altri organismi, come l’Assemblea parlamentare del Mediterraneo, di cui ho l’onore di essere vicepresidente, che stanno svolgendo un ruolo molto importante.

Il Ministro Terzi sa bene di che cosa parlo perché ho avuto il piacere di essere assistito da lui e dalla struttura dalla nostra ambasciata a Washington nell’ultima missione che con i colleghi israeliani e maltesi abbiamo svolto negli Stati Uniti.

Penso, quindi, che questo organismo, che ormai ha il riconoscimento internazionale e viene indicato dallo stesso Segretario generale dell’ONU come partner in molteplici impegni, possa veramente trovare nel nuovo Ministro quella forte collaborazione che finora ha avuto con il Governo italiano.

ALESSANDRO MARAN. Anzitutto auguro al signor Ministro e al sottosegretario Marta Dassù buon lavoro. Anticipo il nostro sostegno allo sforzo per rispondere a quella che lei ha definito una domanda d’Italia in un contesto in cui, tra qualche anno, l’assetto ereditato dal dopoguerra sarà irriconoscibile e in cui, verosimilmente, ci attendono alcune discontinuità. Mi soffermo su due questioni che riguardano il nostro teatro principale, ovvero l’Europa. Proprio perché, come è stato detto, il deficit di bilancio obbligherà gli Stati Uniti a un’agenda internazionale più modesta, è immaginabile che la scarsità aiuterà gli americani a commettere qualche errore in meno, ma comporterà anche il venir meno di alcuni servizi internazionali forniti dagli Stati Uniti negli ultimi decenni.

Il tour di Obama in Asia e nel Pacifico ha, peraltro, chiarito – se ancora ce ne fosse bisogno – che gli Stati Uniti stanno intensificando il loro impegno in quella regione. Da qui la necessità americana di condividere responsabilità e costi con gli alleati, a cominciare dalla NATO, ma anche, per l’Europa, l’occasione per accelerare il decollo della difesa comune. Al di là delle enunciazioni generali, è tempo di mettere in campo un progetto, una strategia, delle idee e delle alleanze che ci possano condurre in quella direzione. Spetta, quindi, anche a lei – Signor Ministro – disegnare un quadro in questo senso.

Inoltre, la crisi in Medio Oriente potrebbe offrire all’Europa l’occasione per riacquistare credibilità presso il mondo arabo. Si è aperta, infatti, una prospettiva di cambiamento che potrà realizzarsi solo se avrà il sostegno di attori esterni, in particolare dell’Europa e non soltanto gli Stati Uniti. Oggi, la sfida per l’Unione è quella di una nuova politica di sicurezza e di cooperazione diretta verso sud che, pur nella diversità degli strumenti, punti a essere altrettanto efficace di quella condotta con l’allargamento verso est, anche perché quel modello dovrebbe servire a promuovere i valori dei Paesi europei anche al di fuori dell’Unione.

Dobbiamo, quindi, definire i progetti, le idee e gli strumenti che possiamo mettere a servizio di questo obiettivo e credo che il Governo di impegno nazionale o – come è stato chiamato – «di tregua» possa anche consentire una più rapida e condivisa scelta in questa direzione.

FIAMMA NIRENSTEIN. Sono lieta di salutare il Ministro Terzi e la sottosegretaria, anche perché fa piacere vedere una donna in gamba in un ruolo così importante, e porgo a entrambi i miei migliori auguri di buon lavoro. Sono altresì contenta della relazione che ho ascoltato e che si colloca in una linea di continuità con la politica che l’Italia ha adottato in questi ultimi anni. D’altra parte, si sono affrontate tutte le dimensioni che ci stanno di fronte nella loro estrema complessità, che è stata espressa dal Ministro Terzi in maniera da aprire anche delle strade di ottimismo. Questo è, in fondo, il ruolo della politica.

Tuttavia, nel mio consueto ruolo di outspoken, vorrei dire alcune cose a cui non desiderio rinunciare perché mi pare che possano essere utili a ritrovare quel ruolo dell’Italia che abbiamo perseguito in questi anni e che la condizione di crisi europea e mondiale mette in continua difficoltà, anche al di là della nostra capacità, che è grande anche, e della nostra forza, che è notevole.

Sulla dimensione europea non entro nemmeno perché le difficoltà sono evidentissime. L’onorevole Boniver le ha esposte in termini problematici molto diretti, che mi trovano pienamente d’accordo, per cui non mi soffermo su di esse.

Quanto alla dimensione transatlantica – per poi arrivare alla questione che conosco meglio, quella mediterranea e mediorientale – ci farebbe piacere che Obama rappresentasse oggi un punto di riferimento, soprattutto nella visione del mondo e degli accadimenti che ci circondano. Ciò, però, non è. Per quanto la nostra predilezione per il rapporto con gli Stati Uniti sia sempre evidente per motivi culturali e morali, visto che la nostra civilizzazione ha percorso la stessa strada, quella basilare e grandiosa della democrazia, alla quale mai rinunceremo e che ci unisce, bisogna dire che in questo periodo abbiamo avuto dagli Stati Uniti e dal Presidente Obama, soprattutto di fronte a quella che viene chiamata «primavera araba» – questo grande moto insurrezionale di un mondo intero rispetto alle tragiche e pesanti dittature che sono durate decenni – parecchi segni di oscillazione e persino addirittura di voltafaccia. Ecco, in questo momento, il ruolo degli Stati Uniti non è chiarissimo, quindi fare mi farebbe piacere capire dal Ministro come vede oggi il ruolo dell’America rispetto al nostro rapporto, inteso come europeo e italiano.

Riguardo alla questione mediorientale, ho una sincera ammirazione nei confronti di queste rivoluzioni così coraggiose, che coinvolgono gente giovane, che è andata, mostrando il petto e perdendo la vita, alla ricerca della modernizzazione con quello che genericamente possiamo chiamare rispetto da parte delle leading class e delle forze politiche che fino a oggi li hanno, invece, oppressi. D’altra parte, c’è un’evidentissima e drammatica insorgenza dell’islam estremo, che abbiamo notato in tutte le elezioni che si sono svolte.

Vi è, inoltre, la questione dell’Iran, che ci mostra un’altra faccia della prepotenza dell’islam estremo e dei pericoli che può comportare, in questo caso, ancora più drammatici perché conditi di uranio, ormai certificato in maniera definitiva dalla AIE, cosa che ha comportato un forte cambiamento nell’atteggiamento internazionale. Ho molto apprezzato la dichiarazione del Ministro secondo il quale bisogna conformarsi alle decisioni di sanzioni che stanno sempre prendendo più piede e che, del resto, presto, prima di Natale anche al Congresso americano assumeranno una loro dimensione unilaterale, inusitata e molto importante.

Ecco, il nostro atteggiamento dovrebbe cominciare a inaugurare una linea condizionale, che è già stata accennata – ed era contenuta, peraltro, anche nella politica del Ministro Frattini – quando il Ministro Terzi ha detto che saremo molto attenti ai diritti delle donne. Qui si tratta, però, non soltanto di diritti delle donne o dei diritti umani in generale, ma anche di Israele verso la quale abbiamo quello speciale rapporto che ha narrato il Ministro. Quando parlo di linea condizionale intendo che si devono conservare i trattati di pace, laddove ci sono, con Israele, e rispettare i diritti umani, altrimenti i nostri aiuti, che senz’altro sono auspicabili, non possono essere elargiti. Non possono esserlo se non c’è osservanza di norme basilari quali il rispetto delle donne, dei diritti umani, della libertà sessuale, di opinione e delle pace con Israele. Ecco, vorrei conoscere la posizione del Ministro rispetto alla mia proposta di una politica condizionata.

FRANCESCO BARBATO. Auguro al Ministro degli esteri e alla signora sottosegretario buon lavoro, anche a nome del Gruppo parlamentare dell’Italia dei Valori, un buon lavoro che sicuramente metteranno in campo visti i loro curricula e il loro modo di porsi. Bisogna, infatti, subito riconoscere che egli è stato il primo Ministro a presentarsi in Parlamento per illustrare le linee programmatiche del dicastero. Apprezziamo, quindi, questa sensibilità che ha avuto rispetto al Parlamento.

Avrei una domanda secca rispetto alla vexata quaestio della Libia e del conflitto che c’è stato, con il congelamento dei conti correnti e di beni. Ormai, il conflitto è dietro le spalle e si è insediato un nuovo Governo nel Paese. Ecco, come ritiene di muoversi il Governo italiano rispetto a questi fondi congelati? Quale sarà la nostra politica su questo punto e, soprattutto, come ci muoveremo per continuare a essere il partner più importante di quel Paese?

Ho concluso, visto, peraltro, che i giornali ci hanno detto a titoli cubitali di fare in fretta.

FRANCO NARDUCCI. Signor presidente, vorrei anch’io rinnovare gli auguri di buon lavoro al Ministro e ai due sottosegretari. Abbiamo visto, anche dalle linee di indirizzo che ha presentato il Ministro, ampie ed estremamente condivise, che il lavoro è tantissimo.

La ringrazio, in particolare, signor Ministro, per aver toccato alcuni aspetti che per la prima volta sono confluiti nelle linee di indirizzo che il Ministro degli affari esteri presenta al Parlamento, quelli che riguardano l’Italia all’estero e il nostro sistema Italia nel mondo. Sono molto in linea anche con gli interventi da lei svolti, che ho sempre letto attentamente, in particolare quelli tenuti a Washington.

Devo, però, anche esprimere alcune criticità. Rispetto ai tempi del Ministro D’Alema il bilancio del Ministero degli affari esteri è stato decimato, mi pare, oltre ogni ragionevole razionalità. Tra tutti i ministeri, considerando anche l’ampiezza del bilancio, quello della Farnesina è stato preso fortemente di mira.

Ho capito, però, che tra costi comprimibili e incomprimibili ci sono due costi estremamente comprimibili: la cooperazione e gli italiani all’estero. La Direzione generale per gli italiani all’estero è stata praticamente smantellata, con il 78 per cento in meno di risorse rispetto al 2008.

Non capisco, quindi, come, si possa continuare in questo modo, senza poi toccare altri aspetti, come quello evocato dal senatore Tonini in merito al personale. Anche in questo caso c’è un segno che va nella direzione opposta. Si sta procedendo a una concentrazione nei cosiddetti consolati hub, che non credo possa essere efficiente e possa consentire risparmi fino al punto che il Ministero degli affari esteri prevede. Si stanno chiudendo, in un’ulteriore ondata di chiusura, 18 consolati.

Come vogliamo fare sistema, come vogliamo promuovere l’Italia nel mondo? Le sedi che vengono chiuse svolgono un lavoro enorme, lei lo sa, sul territorio, nelle aree geografiche, soprattutto in termini di promozione del nostro patrimonio culturale e del nostro sistema imprese, esattamente come lei ci ha riferito, un argomento che condividiamo pienamente.

Noi abbiamo in corso due indagini, tra cui quella sulla promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, che ieri ha vissuto un’ulteriore tappa con l’audizione di altri responsabili di istituti di cultura. Ciò che ci qualifica nel mondo è la nostra cultura, ma, se lo smantellamento della rete consolare procede come è stato annunciato dal MAE proprio la settimana scorsa, io credo che questi obiettivi non siano realizzabili, perché francamente, rispetto agli altri Paesi, abbiamo differenze enormi in termini di intervento, di volume, di scelte strategiche, di visioni.

Nell’ascoltare le sue linee di indirizzo il primo pensiero che mi è venuto, signor Ministro, è che finalmente riusciamo forse a trovare qualcuno che ci ascolta.

CLAUDIO MICHELONI. Grazie, presidente. Porgo sinceri auguri di buon lavoro al Ministro e al sottosegretario. Non darò la soddisfazione al presidente Stefani di suonarmi le campane e, porrò, dunque, solo alcune domande al Ministro.

Quale posizione intende assumere per fermare le decisioni che ha dovuto comunicarci due giorni dopo il suo insediamento sulla chiusura degli uffici consolari? Lei ha ricordato l’indagine conoscitiva in corso, che è stata voluta dal Parlamento perché si era creata una condizione di totale incomunicabilità tra l’amministrazione e il Parlamento sulla riforma del Ministero degli affari esteri della rete all’estero.

Noi siamo coscienti che una riforma è indispensabile, però siamo in una condizione in cui la parola che lei ha usato, e che mi ha fatto piacere sentire, ossia «ascolto», non c’è stata assolutamente.

All’estero noi ci aspettiamo che lei fermi quest’operazione e che ci mettiamo tutti a lavorare per riprendere rapidamente, con decisione e con spirito di collaborazione, l’indagine conoscitiva. Non si può andare avanti in una direzione che credo non sia molto produttiva nell’interesse dell’Italia.

L’altro punto su cui ci aspettiamo una risposta rapida, caro Ministro, è il rinnovo delle rappresentanze. Lei ha ricordato che esiste una legge di rinnovo Comites e CGIE che è stata approvata al Senato e che è oggi alla Camera. In Senato, quando abbiamo approvato quel disegno di legge, noi avevamo chiesto formalmente l’impegno al Governo di allora di garantire il rinnovo nel 2012 dei Comites e del Consiglio generale, che sono stati prorogati per due o tre anni e sono in condizioni assolutamente insostenibili. Che ci sia o non ci sia la nuova legge, chiedo, pertanto, di sapere se si può contare sul rinnovo e spero che questo impegno sia assolutamente mantenuto.

Passo a un’ultima domanda. Abbiamo attuato diverse iniziative, alla Camera e in Senato, di cui l’ultima il 16 settembre, per tentare di far avanzare l’accordo fiscale con la Svizzera, che in questo momento rappresenta una fonte di risorse notevoli. Gli altri Paesi hanno già firmato i loro, però noi non abbiamo notizie.

In merito chiederei informazioni, perché credo che rinunciare a un introito che si può stimare, in una prima fase, all’entrata in vigore, come un accordo di oltre una decina di miliardi e poi di un miliardo all’anno a regime mi sia piuttosto incomprensibile in questo momento.

Gradiremmo conoscere anche le deleghe per gli italiani all’estero, se sono già state definite e chi saranno i nostri interlocutori.

Infine, noi avevamo presentato tre emendamenti per la legge di stabilità, emendamenti che avevamo dovuto ritirare, logicamente, come tutti gli altri. Quelli in oggetto, però, rispondevano allo spirito della spending review. Anche se non inseriti nella legge di stabilità, il loro contenuto potrebbe essere già attuato, in un certo modo, perché essi indicavano una via da percorrere nello spirito anche delle considerazioni svolte dal senatore Tonini e dall’onorevole Narducci.

Gradirei solo avere queste risposte.

LUIGI COMPAGNA. Mi pare che nell’intervento del Ministro l’attacco all’ambasciata britannica dell’altro ieri sia stato definito un episodio sgradevole e odioso, da stigmatizzare. Se, però, è un episodio, significa che è un episodio più che sufficiente per cancellare nella memoria diplomatica e politica del mondo il cosiddetto discorso del Cairo di apertura all’Iran svolto dal Presidente Obama.

Tale discorso, del quale a lungo abbiamo parlato in questi anni, in diverse occasioni, fu un discorso, a mio giudizio, avventato, non solo per la presenza impropria del Rettore dell’Università del Cairo, il noto antisemita sceicco Tantawi, poi passato a miglior vita, ma anche e soprattutto perché apriva all’Iran dei turbanti atomici e pretendeva di prescindere completamente da sette anni di interventi del Capo dello Stato iraniano Ahmadinejad alle Nazioni Unite, con discorsi sempre imperniati su due punti, il buon diritto del suo Paese all’antisemitismo e all’arma atomica, l’uno intrecciato nell’altro.

A differenza di quell’epoca, noi abbiamo oggi un responsabile dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica che, diversamente dal suo predecessore egiziano, ci comunica che l’avvicinamento iraniano all’arma atomica è effettivo, registrato e registrabile, mentre El Baradei, con un’ipocrisia che non onora né la sua storia politica e personale, né l’organismo delle Nazioni Unite, aveva sempre mentito in materia.

Vengo a una seconda considerazione di maggiore attualità per il Governo che ha avuto la fiducia del Parlamento due settimane fa. Credo che mai nella storia della Repubblica la fiducia sia stata molto, se non quasi esclusivamente, imperniata sul ruolo dell’Italia in Europa e sul ruolo dell’Europa in Italia.

A questo proposito, fra stamattina e oggi pomeriggio in Senato completeremo l’esame della legge comunitaria, per la quale siamo in ritardo rispetto alle scadenze. Anche quest’anno, così come tutti gli anni, per esigenze di calendario e altre che noi non abbiamo sollevato e che non solleveremo, resta fuori dalla legge comunitaria un adempimento che ci viene chiesto al ritmo di cinque sentenze all’anno della Corte di giustizia: la questione della responsabilità civile dei magistrati.

Il Governo che l’ha preceduta aveva obiettive difficoltà a superare il veto di una corporazione esterna al circuito Governo-Parlamento. Penso, invece, che il Governo di cui lei fa degnissimamente parte, e per il quale mi unisco agli auguri di buon lavoro, non possa accettare un veto da parte di un’associazione corporativa a discutere di un problema, la giustizia, che è proprio parte integrante del ruolo dell’Europa in Italia e dell’Italia in Europa.

GIANNI FARINA. Ministro Terzi, la saluto con il doveroso rispetto. Io l’ho conosciuta tanti anni fa in occasione di un’assemblea pubblica e ho ammirato la sua conoscenza delle comunità italiane all’estero, l’apprezzamento per la loro storia, per la loro cultura e per quanto rappresentano come patrimonio per il nostro Paese. Le rivolgo, quindi, i migliori auguri di tutto cuore.

Io vivo in Europa e in un momento in cui l’idea di Europa porta tanto scetticismo e a volte persino disperazione. Siamo in un momento difficile e io penso che i Governi europei debbano lavorare affinché non occorra meno Europa, ma più Europea e più unità.

Vivo in Europa un momento difficile anche in riferimento alla comunità italiana. Abbiamo ottenuto alcuni anni fa, dal 2001, il diritto di poter esprimere il nostro voto all’estero. Una mozione bipartisan della Camera e del Senato ha cercato di mettere in luce le deficienze del voto e, quindi, la messa in sicurezza anche per il futuro per quanto riguarda il lavoro all’estero.

Lei ha affrontato anche il problema in riferimento alla mozione, a sua volta bipartisan, per quanto riguarda il rientro delle nostre intelligenze e professionalità all’estero. Io credo che si debba anche agire affinché esse non partano per l’estero, ma rimangano in Italia.

A quanto mi risulta, vivendo questa esperienza europea, in ogni città europea grande e piccola vi sono migliaia di nostri connazionali provvisti di laurea, di conoscenza, di entusiasmo, di passione, di voglia di lavorare, che non hanno trovato la possibilità di realizzarsi in Italia.

Approfitto dell’occasione per salutare il sottosegretario Dassù. Non so se avrà la delega per l’immigrazione, ma in ogni modo il sottosegretario con delega per l’immigrazione dovrebbe immediatamente avere la possibilità di tenere un’audizione alla Commissione affari esteri e ai Comitati di Camera e Senato per gli italiani all’estero per affrontare le problematiche che io annuncio in pochissime frasi.

La prima riguarda l’accenno ai finanziamenti per l’estero. Nel 2008 il finanziamento complessivo sui capitoli di spesa era di 73 milioni, mentre oggi ci sono 16 milioni a disposizione. Questa è la frattura, la deriva di ogni possibilità di nostro intervento. Io le chiedo di poter ripristinare, in occasione delle prossime manovre, almeno il bilancio del 2010, che permetteva un investimento di 34 milioni e, quindi, un funzionamento dell’insieme delle strutture italiane all’estero e degli organismi elettivi.

Le chiedo, per ultimo, di poter sospendere immediatamente le preannunciate chiusure consolari. Occorre una riflessione comune, da svolgere insieme. La chiusura, per esempio, di Losanna, Coira e di altre importanti realtà del mondo è stata una sciagura. Losanna è la capitale della francofonia in Svizzera. Era l’ultima iniziativa che si poteva attuare. È stata giustificata sostenendo che con gli sportelli c’era il servizio di prossimità. Era talmente di prossimità che si è deciso di chiudere anche gli sportelli. Ritengo che si imponga una revisione dell’insieme delle strutture italiane all’estero e attiro la sua attenzione in merito.

La ringrazio e le auguro di nuovo buon lavoro.

FABIO PORTA. Signor Ministro, signor sottosegretario, questo Governo, come citato nell’intervento del Ministro, ha dato un segnale importante nella formazione del nuovo esecutivo, con la nomina di un Ministro per la cooperazione e l’integrazione. Spero davvero che il Ministro Riccardi trovi, con l’appoggio della maggioranza che sostiene il Governo, il sostegno necessario per realizzare la riforma della cooperazione e per rafforzare le politiche di integrazione con i 5 milioni di stranieri che vivono in Italia.

Allo stesso modo, ci sono 5 milioni di italiani che vivono all’estero e che attendono da questo Governo un segnale di attenzione, di rispetto e di valorizzazione. Sono italiani che costituiscono non un problema in più da affrontare, come purtroppo i pesantissimi tagli già citati dai miei colleghi hanno dimostrato, ma forse una parte importante della soluzione della crisi che stiamo attraversando. Lo sa bene il Presidente del Consiglio, che lo ha citato nel suo discorso alla Camera, e lo sa bene anche lei, signor Ministro, avendo avuto modo nella sua lunga e prestigiosa carriera di toccare con mano il potenziale concreto rappresentato da queste collettività.

Le chiediamo – lo chiede il Gruppo del PD, lo hanno chiesto i miei colleghi e credo che anche gli altri partiti e sicuramente i 12 eletti all’estero ne siano convinti – di porre fine a questo progressivo e drammatico smantellamento delle politiche per le collettività italiane all’estero, in particolare dei capitoli lingua e cultura, rete consolare e assistenza.

Sull’assistenza svolgo un particolare richiamo, visto che stiamo giocando sulla pelle di nostri concittadini in particolare in Sudamerica, in Argentina, i quali rischiano di morire per la mancanza di interventi, lontani dalla loro Patria.

Sull’America latina, concludendo, rivolgo un ultimo appello a collocare questa regione del pianeta, tanto importante non solo per la presenza straordinaria delle nostre collettività, al centro di una necessaria strategia di rilancio della nostra politica estera e, quindi, dell’internazionalizzazione del Paese.

Stiamo parlando, infatti, di un’area segnata da altissimi livelli di crescita e di sviluppo e soprattutto da un consolidamento progressivo dei processi di democrazia, all’interno delle singole nazioni e anche a livello di integrazione regionale.

Concludo, invitandola a proseguire e a rafforzare, in particolare, il cammino tracciato dalle conferenze Italia-America latina organizzate dal Governo, magari coinvolgendo di più i Paesi di quell’area e consolidando la politica transatlantica del Sud che dovrebbe unirsi alla politica transatlantica del Nord, già tradizionale per il nostro Paese.

FURIO COLOMBO. Rivolgo un saluto particolarmente caro al nuovo Ministro degli esteri e al sottosegretario. È raro vedere le persone esattamente giuste nel posto giusto e nel momento giusto. Auguri e buon lavoro davvero.

Il punto che tocco è uno solo. È apparentemente molto piccolo e non richiede una risposta oggi, signor ministro, ma una riflessione rapida ed eventualmente, se e quando lo riterrà necessario, un intervento.

Esiste una situazione irachena particolarmente drammatica. In Iraq c’è un campo che si chiama Ashraf, che lei conosce, nel quale sono rifugiati centinaia di iraniani sfuggiti al loro regime dispotico. Essi si erano affidati alla protezione degli americani. Nell’abbandonare il campo gli americani li hanno affidati al nuovo Governo, al Governo-non Governo iracheno della situazione attuale, e ora sono continuamente soggetti a una persecuzione che viene descritta come continua, sanguinosa e selvaggia, con il rischio, per giunta, della dispersione di questi profughi, che comprendono naturalmente famiglie, donne e bambini.

Mi permetto, come presidente del Comitato permanente sui diritti umani della Commissione affari esteri, che sarebbe un subcommittee nella struttura americana, di chiederle, quando potrà, un’indicazione da poter dare alle famiglie, ai congiunti e agli amici di questi disperati, i quali ritengono che le vite di coloro che sono nel campo di Ashraf siano continuamente in pericolo. Quindi, nel mare del problema dei diritti umani che lei si trova di fronte in questo momento, le segnalo un solo punto nella speranza di poter dare una risposta confortante agli interessati. La ringrazio moltissimo, signor Ministro, e per tutta l’immensa parte di lavoro che le resta da fare, le rinnovo gli auguri più cari.

MARIO BACCINI. Signor presidente, sia il Ministro Frattini che gli altri colleghi che mi hanno preceduto hanno chiarito la nostra posizione, ovvero la condivisione dell’analisi e anche le prospettive della politica estera italiana che il Ministro, che saluto insieme al sottosegretario Dassù, ha espresso nella sua relazione con grande attenzione.

Signor Ministro, vorrei solo ricordare che abbiamo avuto degli atti di indirizzo politico in Parlamento sulla questione dell’economia sociale, dell’azzeramento del debito e della riconversione del debito per attuare in modo significativo la diplomazia preventiva. L’allora Ministro D’Alema e poi il Ministro Frattini hanno dato dei rilevanti indirizzi di intervento concreto sull’economia sociale, sulla diplomazia preventiva e sulla riconversione del debito. Ecco, in questo senso le segnaleremo le iniziative che il Parlamento in termini di priorità riterrà opportuno adottare.

NINO RANDAZZO. Spero di contenere in un minuto tutto ciò che avrei voluto dire, ma che in parte è stato detto dai miei colleghi eletti all’estero – Narduzzi, Micheloni, Farina e Porta – che mi hanno preceduto. Signor Ministro, la ringrazio soprattutto per il suo riferimento agli italiani all’estero, che non è consueto da parte dei neoministri degli esteri. Inoltre, apprezzo in modo particolare, nel contesto di quel riferimento, l’accenno al problema dell’impatto sociale sui dipendenti di quei consolati che saranno soppressi, sia quelli di ruolo che specialmente i contrattisti locali.

Avendo partecipato a due assemblee di questi dipendenti del Ministero degli esteri, una ad Adelaide, la capitale dell’Australia meridionale, appena una settimana fa, e l’altra a Brisbane, capitale di grandi territori, altra sede di consolato che dovrebbe essere soppressa, sono stato incaricato di portare questo messaggio, ovvero che il neonominato Ministro degli esteri e i sottosegretari possano essere più chiari nell’indicare esattamente quali sedi consolari verranno effettivamente soppresse e la tempistica di questa chiusura. Ovviamente, molti dipendenti hanno problemi familiari da affrontare in vista della loro destituzione.

LAURA GARAVINI. Signor presidente, la ringrazio dell’opportunità di intervenire, nonostante io non sia membro di questa autorevole Commissione. Mi sono permessa di chiedere la parola semplicemente per attirare l’attenzione del Ministro su un punto che costituisce una nostra priorità e che i diversi colleghi del Partito Democratico, tra i tanti aspetti che hanno affrontato, non hanno potuto illustrare per una questione di tempo. Mi preme, tuttavia, sollecitare questo elemento anche perché l’argomento è stato oggetto di una recente mozione della Camera dei deputati approvata all’unanimità.

Mi riferisco alla necessità di intervenire per garantire la messa in sicurezza del voto espresso per corrispondenza nella circoscrizione estero. Pertanto, signor Ministro e signora sottosegretario, nel sottolineare che il vostro compito determinante sarà soprattutto quello di ridare credibilità e autorevolezza al nostro Paese all’estero, vi esprimo anch’io i migliori auguri di buon lavoro. Tenevo, nondimeno, a sottolineare anche questo aspetto perché ritengo che, visti i tempi che ci vedono al voto al più tardi nel giro di un anno o poco più, sia assolutamente necessario che, indipendentemente dalle condizioni e dal sistema di voto che verrà adottato, intervenire proprio per mettere in sicurezza l’esercizio del voto per corrispondenza.

PRESIDENTE. Considerata l’imminente ripresa dei lavori dell’Aula, il Ministro ha venti o al massimo venticinque minuti a disposizione per la sua replica. So che sono niente rispetto tutte le questioni sollevate. Purtroppo, però, questi sono i tempi con i quali dobbiamo confrontarci.

Do la parla al Ministro Terzi di Sant’Agata per la sua replica.

GIULIO TERZI DI SANT’AGATA,Ministro degli affari esteri. Ringrazio molto i presidenti Stefani e Dini e tutti gli autorevoli membri delle due Commissioni parlamentari per la gamma straordinaria di riflessioni e di elementi che sono stati sollevati in questa circostanza. Non avevo la presunzione di volere essere completo nella mia esposizione iniziale, toccando tutti i punti principali della nostra politica estera, bensì intendevo semplicemente definire alcune traiettorie e alcuni punti di riferimento fondamentali da perseguire nell’azione che ritengo debba collocarsi lungo una linea di continuità, ma anche nello sforzo di mantenere sempre altissima la credibilità internazionale del Paese. Lungi, quindi, da me la pretesa di esaustività, anche nel rispondere alle questioni importanti e ricche di spunti di dettaglio che sono state poste.

In primo luogo, raccolgo immediatamente l’invito a continuare questo dialogo quanto prima. Purtroppo, i primi giorni di dicembre sono intensissimi per diversi impegni internazionali. Vi è, infatti, la conferenza sull’Afghanistan a Bonn, prima c’è Bruxelles, successivamente l’OSCE a Vilnius, poi ancora alcune scadenze bilaterali. Ciò nonostante, per questo Governo e soprattutto per la funzione che ricopro, il rapporto con il Parlamento è di importanza fondamentale e desidero assolvere in pieno a questo compito. Mi riserverei, pertanto, di poter calendarizzare prima della pausa natalizia un’altra occasione di incontro per poter trarre beneficio dalle riflessioni di oggi.

A ogni modo, vorrei anticipare alcune considerazioni di fondo su alcuni aspetti importanti, forse rimasti in ombra nel mio intervento iniziale. Innanzitutto, vorrei ragionare sulla domanda fondamentale, ovvero a cosa serve l’Italia e qual è il ruolo necessario del nostro Paese all’interno delle dimensioni che ho cercato di affrontare. Ebbene, la risposta spontanea è che senza l’Italia non c’è Europa. La creazione europea non era immaginabile per i pensatori visionari della nostra tradizione di pensiero politico del periodo precedente e immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale, ma anche per altri, come Churchill, il cui famoso discorso sull’unificazione europea risale ai tempi della Seconda guerra mondiale. Non è immaginabile neppure rispetto a l’Italia nella forma che conosciamo oggi, nei suoi valori costituzionali, nel suo appartenere a un acquis europeo ricchissimo, consolidato nella legislazione europea che è diventata legislazione nazionale e che influisce in tutti i settori della vita nazionale positivamente, come fattore di impulso. Basti pensare alle diverse legislazioni europee; si è parlato molto dei diritti umani, ma possiamo aggiungere la legislazione della concorrenza, le questioni che riguardano il diritto industriale, l’accesso ai mercati, i brevetti, la proprietà intellettuale e quant’altro. Non a cosa serve l’Italia, quindi; dovremmo chiederci, piuttosto, a cosa serve l’Europa, che è esattamente il rovescio della medaglia.

L’Italia, in questa fase così critica del percorso di costruzione europea, serve per far valere il senso di una coscienza e di una direzione in chiave politica. Abbiamo superato ormai da vent’anni l’idea di un’Europa mercantile, finalizzata all’integrazione dei mercati e all’integrazione monetaria e finanziaria. Stiamo lavorando, dunque, con grande determinazione – questo è il grande patrimonio della diplomazia italiana, con le guide fondamentali dei Ministri degli esteri degli ultimi anni, ma anche meno recenti – per accelerare il percorso di integrazione politica, che è nell’ordine delle cose e che appare sempre più una necessità. Possiamo essere, forse, distratti dall’emergenza e dalle contingenze del momento; tuttavia, lo sforzo grandissimo, riconosciuto da tutti voi a questo Governo, di portare un’evoluzione positiva nella finanza pubblica in un clima di equità, di solidarietà e di garanzia per la crescita, ha senso solo se sfocia in un rinnovato convincimento da parte di tutti i partner del percorso politico e del valore dell’unità e dell’integrazione europee. Su questo tema, mi richiamo a quanto hanno detto il presidente Frattini e gli onorevoli Adornato, Vernetti e altri. Difatti, questo aspetto mi è parso, oltre che di importanza fondamentale, anche di un’attualità fortissima in quanto collegato alle modalità di uscita dalla crisi.

Nella dimensione politica, la costruzione di una difesa europea – devo fare ammenda per averla omessa perché si tratta di un’azione concreta di cui la diplomazia italiana è protagonista – pone, tuttavia, degli interrogativi. Occorre domandarsi quali sono le possibilità concrete, quali le carenze alle quali una difesa europea può rispondere e come possiamo mettere insieme strutture, forze, capacità operative e di generazione delle forze, possibilità di pianificazione, di comando e quant’altro per rendere efficienti le scarsissime risorse che abbiamo a livello nazionale anche nel comparto difesa. Dal punto di vista della direzione politica, vogliamo sicuramente far progredire la difesa europea. Abbiamo, peraltro, dei partner fortemente convinti, senza agende nascoste. Sotto questo rispetto, sottolineo, infatti, l’importanza di vedere, nei nostri collegamenti europei, l’appoggio di partner che siano sinceramente indirizzati, attraverso la difesa, a rafforzare le capacità di integrazione politica dell’Unione. Al tempo stesso, abbiamo delle criticità di Paesi che restano un po’ all’esterno del perimetro, pur avendo dei rapporti bilaterali molto intensi con altri Paesi importantissimi. Credo, allora, che in questo ambito si collochi il ruolo dell’Italia. Di questo discutevo proprio in queste ore e spero di continuare a parlarne questa sera, nel corso di una riunione che inizia alle 7 a Bruxelles e che vede congiunti i Ministri della difesa e degli esteri dell’Unione. Ritengo molto importante non considerare questo approfondimento in chiave di contrapposizione dialettica, rimanendo ancorati a posizioni diverse; viceversa, occorre capire come possiamo recuperare e dare fiducia – dico esplicitamente che mi riferisco alla posizione inglese, per esempio – rispetto a determinate obiezioni sul tema della duplicazione delle capacità di pianificazione e di un’impostazione che potrebbe sembrare «proveniente dal basso»; è importante, quindi, cercare di partire da un’articolazione teorica della capacità di pianificazione, rispetto, invece, a un’enfasi maggiore sulle generazioni delle forze e sull’individuazione delle priorità nelle missioni di pace e militari molto complesse dell’Unione Europea. Ecco, vorrei soprattutto assicurare fiducia.

A questo proposito, desidererei rimediare a un altro piccolo gap della mia esposizione in merito alla direzione dell’Europa, che si collega immediatamente al discorso della governance europea e globale. Il Presidente Monti – leggo un’Ansa di qualche minuto fa – ha precisato con grande chiarezza che l’Italia è interessata a stare accanto alla Germania e alla Francia nella trattativa sulla crisi che stiamo vivendo, come pure in quella sulla sostenibilità delle soluzioni di questa crisi, magari anche attraverso una parziale e limitata revisione dei Trattati. Per noi, essere coprotagonisti di questo percorso è di fondamentale importanza. Tuttavia, dobbiamo guardare in senso più ampio al metodo comunitario, al quale abbiamo ispirato tutta la nostra azione e del quale continuiamo a essere profondamente convinti. Infatti, è solo attraverso il metodo comunitario che possiamo avere garanzia del ruolo che possiamo attribuire, in concreto, alle istituzioni comuni in futuro; ruolo che è direttamente legato al discorso della governance globale.

Forse, in altre funzioni, ho assillato i miei predecessori sulle questioni della riforma del Consiglio di sicurezza, delle Nazioni Unite, dei gruppi ristretti, delle riunioni a quattro, che ci vedono esclusi, o di quelle a cinque, nelle quali, invece, riusciamo a essere. Intendiamoci, la questione delle architetture istituzionali non è affare di questo ultimo decennio. Chi si occupa di politica estera in modo eminente e con un’ottima capacità di analisi, come il sottosegretario Marta Dassù, sa benissimo che risaliamo alla storia dalla presidenza Ford, durante il vertice della Guadalupa, quando un mio celebre predecessore cercò di effettuare per la prima volta il ragionamento che l’Italia doveva essere presente a un vertice che riguardava le tematiche nucleari in Europa, trattandosi di una questione di sicurezza europea. La storia racconta di quanto scarso ascolto ottennero le motivazioni presentate dall’Italia; per non parlare poi di Rambouillet, del G6, del G7 e via discorrendo. Il tema della nostra presenza e del nostro ruolo impone di domandarci a che cosa serve l’Italia nella governance globale. Ecco, anche in questo ambito, il nostro Paese è di fondamentale importanza. Se guardiamo, per esempio, alle linee di fondo che sosteniamo per la politica mediterranea e mediorientale, è immediatamente percepibile il valore della presenza italiana in rapporto all’Unione europea perché non abbiamo mai smesso di sforzarci – e tanto meno attenueremo il nostro impegno nelle prossime settimane e mesi – di riorientare la politica di partenariato dell’Unione in una direzione più bilanciata, ma vorrei dire anche più equa e dettata dal buonsenso. Com’è ampiamente emerso in questa discussione, esistono delle preoccupazioni fondamentali che noi alla Farnesina condividiamo circa la traiettoria che stanno prendendo i movimenti generati dalla primavera araba rispetto ad alcuni loro riflessi intuitivi che vanno dall’immigrazione, alla stabilità dell’area, ai movimenti fondamentalisti, alla genesi di potenziali nuove vampate di terrorismo, alla necessità di mantenere aperti e solidi mercati e zone di investimento per le nostre aziende. Non a caso, in questa circostanza, vi sono stati interventi importanti sulla nostra presenza in Libia e in Egitto. Ebbene, se si tratta di dare concretezza a un impegno europeo in un’area di crisi altamente sensibile e in fortissima evoluzione, questo impegno europeo deve guardare al Mediterraneo. È evidente per le opinioni pubbliche che non c’è nessuna altra area al mondo dove ciò che avviene in quello scacchiere è così importante per la nostra sicurezza. Allora, l’Italia serve anche nel processo di pace in Medioriente, rappresentando una voce di equilibrio fondamentale, ma anche di amicizia concreta. Per evitare riferimenti fuori posto, mi limito a citare ciò che mi veniva da dire quando ero ambasciatore in Israele e dovevo confrontarmi con sollecitazioni delle due parti. Era una situazione devastante; da una parte vi era la seconda Intifada, il terrorismo, persone della mia stessa ambasciata colpite nei loro affetti più cari con l’uccisione brutale e ignominiosa dei loro familiari con attacchi suicidi e dall’altra vi erano famiglie palestinesi estremamente sofferenti, il coprifuoco, il cantonamento, i posti di blocco e via discorrendo. Ecco, non si può affrontare la questione mediorientale senza sentire un senso di simpatia e di amicizia per entrambe le parti, evitando di prendere apoditticamente posizione e pensando di poter sostenere un fronte o l’altro. Si tratta, piuttosto, di una questione di difesa di valori, che è nella tradizione della politica estera italiana, sulla quale l’Italia può fare la differenza in quella regione così complessa.

Pochi giorni fa ho compiuto una visita bilaterale in Turchia, dove ho beneficiato di un’accoglienza estremamente cordiale e costruttiva da parte del mio collega Ahmet Davutoglu,avendo l’immediata percezione di quanta richiesta di Italia vi sia, per riprendere un’espressione che ho utilizzato prima. Vi sono, infatti, possibilità enormi; in quell’area vi sono 900 imprese italiane, che collaborano anche sui mercati terzi. Insomma, le potenzialità del Mediterraneo sono in crescita per quanto riguarda la nostra presenza a tutto campo.

Pensando ad altre questioni che sono emerse, vorrei dire che dobbiamo valutare con molta attenzione la continuità del nostro impegno in Libano. Ieri mattina ho incontrato il Primo Ministro libanese, che era in breve visita a Roma, e ho ricevuto da lui un appello a confermare il nostro impegno nel contingente UNIFIL. Difatti, non è assolutamente vero che siamo lì a guardare passivamente quello che accade. La presenza di UNIFIL ha avuto un ruolo determinante nel mantenere la pace dall’agosto 2006, quando l’Italia decise di mettere per prima sul terreno la disponibilità di un importante contingente, trainando tutta l’operazione, fino a oggi. Quel contingente ha contribuito in modo estremamente serio – lo dicono i Governi di entrambe le parti e lo ha ribadito ieri mattina il Primo Ministro libanese – a impedire deflagrazioni e escalation di violenza. Nel caso specifico, intendiamo conservare un impegno, anche se ridotto rispetto al contingente di 1.500 uomini di cui si è parlato. Offriremo, peraltro, un nuovo comandante italiano, grazie al grande successo della direzione italiana del contingente di questi anni.

Inoltre, per ciò che riguarda il resto dell’area mediterranea e mediorientale, vorrei semplicemente dare un’indicazione in merito all’atteggiamento verso le nuove autorità libiche. È, infatti, prioritario l’impegno che io e l’intero Governo assumiamo di sviluppare ulteriormente i rapporti – peraltro riallacciati sin da subito con il CNT (Consiglio nazionale di transizione) dal Governo Berlusconi – per cercare di riattivare rapidamente, l’Accordo di amicizia quadro, che costituisce la premessa per un ulteriore radicamento delle nostre imprese. Per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, mi pare che le cifre siano più che eloquenti. Abbiamo raggiunto una capacità di importazione e di produzione di petrolio di 200.000 barili al giorno in condizioni sicure, cosa che consente anche una differenziazione nell’approvvigionamento delle risorse energetiche.

Sulla Siria ho già detto in diverse occasioni che continuerò a incontrare anche delegazioni allargate del Consiglio nazionale siriano. Questa è un’aspettativa delle componenti della società civile ed è un gesto importantissimo di fiducia che manifestiamo nei confronti di questi gruppi e partiti che rischiano così tanto e che stanno soffrendo nel Paese. Resta, nondimeno, una condizione fondamentale per l’Italia che si tratti di un Consiglio inclusivo, che raccolga tutte le voci, che sia garante dei diritti umani e si astenga dal ricorso alla violenza.

Questi sono gli elementi principali. Potrei, poi, proseguire a lungo sulla questione degli italiani all’estero. Per la Farnesina questo è un tema particolarmente difficile in questo momento perché non c’è dubbio che in una struttura finanziaria nella quale il 60 per cento delle risorse riguardano spese fisse (come quelle logistiche, gli affitti, il personale e i contratti da assolvere) e il restante 40 per cento costi che possono essere compressi, dipendendo dalla discrezionalità dell’amministrazione, la compressione di bilancio da circa 2 a 1,8 miliardi di euro va drammaticamente a cadere su questo 40 per cento. Di conseguenza, la proiezione del danno che subiamo nelle nazioni estere è esponenziale. Credo, però, che ci sia ancora molto lavoro da fare, in grande rapidità, per portare avanti quella spending review che consenta di non isolare nessuna area nella revisione del processo di spesa, facendo emergere le vere priorità. Del resto, la nostra presenza nel mondo, anche attraverso la nostra struttura diplomatica e consolare e gli Istituti di cultura, resta sicuramente una priorità elevata.

Vorrei fare, infine, un’annotazione sul rispetto dei diritti umani e sulle contraddizioni fra queste politiche e la capacità di affermare le nostre posizioni, compromettendo interessi fondamentali per il Paese, non soltanto economici, che sono i più ovvi, ma anche politici e di sicurezza. Ecco, in questo campo dobbiamo essere allo stesso tempo ambiziosi e realisti. La strada idonea – come si è accennato – è indubbiamente quella multilaterale. D’altronde, siamo stati fra i soggetti propulsivi di istituzioni fondamentali nella difesa dei diritti umani. Il Consiglio diritti umani, per esempio, non era sostenuto da molti Paesi in modo altrettanto deciso, neppure in ambito occidentale; infatti, siamo stati protagonisti di un negoziato con la componente dei non allineati (i NAM), che ha avuto risultati positivi anche grazie a un’azione diplomatica svolta dall’Italia. Siamo stati, inoltre, il Paese ospite e protagonista in assoluto della creazione della Corte penale internazionale, nella quale abbiamo sempre avuto magistrati di altissimo profilo. Ancora adesso, anche se questo riguarda i rapporti fra Stati, abbiamo portato un eminente cattedratico italiano alla Corte internazionale di giustizia. Pertanto, l’aspetto multilaterale va perseguito in tutte le sue diverse forme, dall’Unione Europea, alle organizzazioni regionali di cui facciamo parte, fino alla dimensione globale delle Nazioni Unite. Questi percorsi sono i fora per eccellenza dell’azione che intendiamo svolgere sui diritti umani. Si tratta, quindi, di un impegno che sarà molto sostenuto da parte nostra. Per quanto riguarda, nello specifico, i diritti umani nel campo Ashraf, mi riprometto di parlarne a Bruxelles. Credo, peraltro, che ci sia un dibattito e un approfondimento nell’ambito dell’Unione europea. Ritengo, comunque, che non dobbiamo essere distratti da altre considerazioni relative a quella regione nel difendere le popolazioni che soffrono di violenza sia in Iraq che in Siria.

Ecco, ho finito. Non vorrei, infatti, sentire la campanella del presidente che mi ammonisce di concludere. Ringrazio nuovamente tutti dell’attenzione e spero di avere da ognuno di voi e dalle Commissioni nel loro insieme ogni sostegno per la nostra causa comune di rappresentare sempre meglio l’Italia nel mondo. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio molto il Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata e dichiaro conclusa l’audizione.


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