È tempo di proposte e di programmi chiari, non generici e di mobilitazione generale.
Riceviamo e pubblichiamo un bellissimo articolo della prof.ssa Elisabetta Zuanelli, docente di comunicazione digitale presso l’Università di ”Tor Vergata”, che ha avviato una riflessione propositiva su un tema poco presente nei programmi di vecchi e nuovi partiti, e nel parlamento, che va sotto la dizione di economia digitale.
«Il tema è consistente per tre ragioni: perché lo sviluppo di un’economia e di un mercato digitale è possibile e necessario anche per il nostro Paese, perché la spesa pubblica in materia è devastante e improduttiva, perché il tema offre nuovi ampi spazi di nuove professionalità nel pubblico e nel privato, e dunque comporta una concreta prospettiva per l’occupazione e per i giovani.
Su questi argomenti, rimontiamo i pezzi dell’agenda digitale partendo da un tema perennemente eluso nonostante le norme in materia, quello dell’amministrazione pubblica in versione digitale e della relativa qualità della produttività e della spesa.
La indecidibile qualità della spesa informatica in Italia, registrata nei passati governi, sconta una serie di problemi di visione, di obiettivi funzionali e di controllo dell’allocazione delle risorse, nell’ambito dell’amministrazione pubblica centrale e locale ovvero di quella che va sotto il nome di amministrazione digitale.
Le ragioni sono molteplici. Nell’ordine si possono citare:
I. l’ignoranza di sistema e la delega totale all’offerta di mercato ICT. L’offerta di mercato, come è facile constatare, non è stata e non è in grado da sola di offrire soluzioni e servizi digitali coincidenti con le necessità gestionali amministrative. Un procedimento o un servizio amministrativo non si sviluppa automaticamente appoggiandolo a una piattaforma informatica esterna, per avanzata che sia. Soluzioni ventilate di tipo cloud, logiche partecipative e di apertura dei dati pubblici appaiono oggi in parte azzardate e in controtendenza rispetto alle esperienze internazionali. ENISA, ente dell’Unione uropea che si occupa delle reti e della sicurezza dell’informazione online, ha messo ripetutamente in guardia sui rischi che l’esternalizzazione e la fruizione a distanza dei dati comporta, con i tre più recenti rapporti: ENISA 2009, 2011 e 2012. Gli Stati Uniti hanno avviato un piano potente di gestione della sicurezza dell’informazione e di eventuali progetti cloud attraverso le Agenzie federali, un robusto board centrale e un apposito programma centralizzato e decentrato.
II. L’eventuale risparmio di spesa nelle soluzioni cloud dovrebbe essere verificato con cauti progetti sperimentali e con soluzioni particolari, a livello locale, che non investano l’uso di dati core e sensibili, come suggerisce la UE. In ogni caso, il risparmio immaginato non coincide con l’efficienza e non tiene conto non solo della sicurezza ma dei costi di migrazione delle basi di dati e dello sviluppo di procedimenti e servizi amministrativi a supporto digitale, nella prospettiva di una diversa efficienza operativa delle amministrazioni. Si aggiunga poi la considerazione che la prospettiva di data centre di “gestione integrata” di anagrafi, ad esempio, pone problemi noti di omologazione delle classificazioni e di conflittualità tra i soggetti detentori di dati.
III. Di contro, il costo dell’ignoranza informatica delle amministrazioni locali e centrali su cui ha riferito nel recente passato l’Università Bocconi si riscontra agevolmente confrontando il disordine concettuale dei capitoli di spesa e l’impossibilità di un confronto di produttività degli investimenti informatici tra i dati, per amministrazione e capitoli.
IV. Fattore delicato in assoluto è poi la qualità degli investimenti e la conguità dei medesimi che andrebbe valutata su obiettivi gestionali amministrativi specifici (che significa spendere per “opere dell’ingegno (sic!) e software prodotto” e per “consulenza informatica”, cosa rientra nella spesa ICT, come si giustificano le allocazioni di risorse nelle in-house e in che consiste la spesa per investimenti? Il quesito alla base è il ritorno sugli investimenti ovvero il ROI nella gestione dell’informazione e dei procedimenti amministrativi in chiave digitale.
V. Fattore critico ulteriore è l’incapacità d’uso nelle amministrazioni dello stato di metriche corrette per valutare l’offerta e il bench marking nel mercato digitale.
VI. Si aggiunga, infine, la povertà tecnica dei bandi di gara e un mercato digitale chiuso, se non per pochi fornitori selezionati. E’ auspicabile che quanto previsto dal decreto sviluppo liberalizzi l’offerta e apra il mercato in chiave competitiva anche per le piccole imprese e le start-up. Resta tuttavia la responsabilità degli addetti nelle amministrazioni e in particolare della dirigenza pubblica ovvero dei responsabili della domanda e dei bandi di gara o delle assegnazioni.
La situazione rilevata sommariamente spiega il fondo della classifica del nostro Paese in termini di innovazione digitale a livello europeo, salvata dal numero di cellulari e ipad per persona che è tra i più alti e dall’attività svolta nell’e-procurement.
Vanno affrontate, dunque, con una strategia di sistema, la spesa e la partecipazione all’economia digitale del nostro Paese nella prospettiva locale e internazionale,come capacità produttiva di innovazione digitale di prodotti e servizi. L’innovazione non può essere limitata alle tendenze di moda ma chiede forme di intervento, orientamento e controllo forti e generalizzate e una strategia economica capace di essere protagonista anche ai tavoli europei.
Si possono avanzare diverse ipotesi immediate, a basso costo e a forte impatto di sistema, da negoziare con gli stakeholder del mercato, nella prospettiva di un rilancio serio, difficile ma perseguibile, immediatamente, come iniziarono a fare alcuni anni fa con determinazione i nostri partner europei, Francia e Germania.
L’economia digitaleè una dimensione globale e trasversale totalizzante e fondamentale per l’economia dei sistemi paese, che richiede appunto interventi di sistema, difficili ma necessari.
Su questi temi, dovremo confrontarci poi parallelamente con investimenti produttivi e seri in ricerca e sviluppo, nelle università e nel privato; nella promozione di fondi di venture in un mercato liberalizzato; nella capacità di promozione di nuove professionalità da progettare e tradurre in occupazione.
Sarebbe tempo che la politica trattasse sistematicamente il tema e lo mettesse in agenda delle prossime elezioni politiche.
Elisabetta Zuanelli, www.rimontiamolitalia2013.it Docente ordinario di Glottodidattica/Comunicazione digitale presso l’Università di Roma”Tor Vergata”,Dipartimento di Studi di Impresa,Governo, Filosofia. Consulente scientifico dell’Unesco, del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea è Presidente del Centro di Ricerca e sviluppo sull’EContent dell’università medesima dal 2007. Consigliere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di comunicazione istituzionale e diritto all’informazione dal 1987al 1992, è stata professore ordinario e Capo Dipartimento delle discipline organizzativo-informatiche presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze dal 1993 al 2004. In quest’ambito ha curato numerosi progetti e la riqualificazione informatica del personale del Ministero. Esperto dell’Unione Europea nei programmi econtent plus and security e valutatore dei progetti nel 2005-2006, dal 2010 è membro del Comitato scientifico di redazione e referee internazionale dello IEEE/MEEM (Institute of Electrical and Electronic Engineers, Multidisciplinary Engineering Education Magazine) e dal 2012 esperto MIUR per la ricerca industriale. Autrice e curatrice di oltre venti volumi di teoria e applicazioni su linguaggi, modellizzazione della comunicazione e comunicazione digitale.