Con il voto del parlamento, che adegua il nostro ordinamento allo statuto della Corte penale internazionale, abbiamo scritto una bella pagina nella storia della giustizia internazionale e di quella italiana.
La legge approvata riunisce tre proposte di legge, tra le quali anche la mia. Se non avessimo approvato l’adeguamento allo Statuto della Corte penale internazionale, non avremmo avuto alcuna voce in capitolo nei riguardi dei crimini contro l’umanità.
Se per esempio Gheddafi fosse fuggito in Italia, senza questa legge non avremmo avuto alcuno strumento giuridico per sottoporlo a un procedimento giudiziario.
La legge è un contributo alla pace perché la pace presuppone l’edificazione della giustizia e la pace internazionale presuppone l’edificazione della giustizia internazionale. Non può esistere pace durevole senza giustizia e la pace non si può perpetuare se i diritti umani non vengono riconosciuti.
Ma possono esserlo solo se vi sono una giustizia e delle norme universali.
L’adeguamento allo statuto della Corte penale internazionale è anche una risposta alla fortissima domanda di democrazia e di giustizia sovranazionali. È un provvedimento che viene da lontano, che viene da Norimberga, dalle vittime di Sarajevo, dal Srebrenica, dal Ruanda, dallo Zaire, dal Darfur, dalla Repubblica Centrafricana, da quanto è successo in Uganda, in Vietnam, in Cile, in Argentina, in Cambogia e da quello che è accaduto in Libia e da quello che sta accadendo in Siria.
Quindi, certamente è un provvedimento che permette all’Italia di non tacere più, perché tacere rende corresponsabili, quanto meno e soprattutto sul piano morale, ma anche, con questo statuto, sul piano giuridico. L’impunità dei responsabili di orrendi crimini, oltre a risultare un’ennesima onta nei confronti delle vittime, spesso porta l’opinione pubblica internazionale a dimenticare le gravi atrocità commesse.
Ecco perché occorre garantire in maniera operativa la giustizia internazionale ed il ruolo della Corte penale internazionale, perché la democrazia non può annientare se stessa né voltare le spalle ai crimini internazionali. Questo è il dato rivoluzionario del suo statuto firmato nel 1998: la Corte penale internazionale è la prima ed unica giurisdizione penale internazionale a carattere permanente, e potenzialmente universale. Potenzialmente perché purtroppo alcune tra le grandi potenze mondiali, come gli Stati Uniti e la Cina non l’hanno ancora firmato.
Con lo Statuto della Corte agli Stati non è più permesso trattare i propri cittadini a loro piacimento, né farsi scudo del principio di non ingerenza negli affari interni.
Il principio della non ingerenza non può essere più opposto di fronte a dei crimini contro l’umanità.
Adesso, anche noi italiani saremo più credibili in questa battaglia di civiltà: è da questo adeguamento deve nascere una nuova politica globale dei diritti umani del nostro Paese.
Il successo della conferenza diplomatica, tenutasi proprio a Roma nel giugno-luglio 1998, e l’adozione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale è stato uno storico passo in avanti nella tutela dei diritti umani fondamentali. Poi «radio Italia» si è spenta. Abbiamo ratificato lo Statuto nel 1999, ma da allora non abbiamo mai adeguato il nostro ordinamento e il nostro sistema penale agli obblighi che quello Statuto comportava. È quindi attraverso questa nuova pagina che l’immagine internazionale dell’Italia potrà cambiare, rimettendo i diritti umani al centro della nostra politica internazionale.
Chi guiderà il Paese dalle elezioni del 2013 dovrà assumersi la responsabilità di completare la modernizzazione del nostro sistema giuridico, riportare definitivamente il nostro Paese a sedere tra i «grandi», a fare una politica adulta, a riconquistare un peso politico internazionale come promotore della tutela dei diritti internazionali che sono il cuore della democrazia. Forse è questo il «profumo di sinistra» che qualcuno reclama in questi giorni.
Sandro Gozi, L’Unità