Quanto più passa il tempo di questo pontificato, tanto più mi convinco della similitudine fra Benedetto XVI e un grandissimo papa e padre della Chiesa del V secolo: Leone Magno. Ambedue questi papi sono passati o passeranno alla storia per la loro predicazione semplice e profonda, capace di svelare la qualità permanente dei misteri cristiani. Ambedue passeranno alla storia per avere cercato di fermare la barbarie.
Leone Magno, al di là di ciò che avvenne storicamente, non si è limitato a fermare Attila. Ha posto le premesse per l’inserimento positivo di queste nuove forze dentro il cammino della Chiesa.
Allo stesso modo Benedetto XVI sta agendo per cercare di fermare le forze del male e di dare nuova energia ai fattori positivi della storia. Non a caso, dunque, due sono i fronti fondamentali della sua battaglia: lo svelamento del vero volto di Dio e l’affermazione del vero compito della ragione.
Da una parte il vero volto di Dio. Contro l’intolleranza papa Benedetto continua a ritornare, fin dalla sua prima enciclica, su Dio come carità, come colui che cerca l’uomo, che vuole rinnovarlo perdonandolo e creando continuamente comunione sulla terra. Il suo grido contro il fondamentalismo, che ha segnato l’inizio, ma poi tutto il corso del suo viaggio nel Libano, è da questo punto di vista emblematico. Sulle tracce di Agostino, Joseph Ratzinger combatte ogni identificazione tra la fede e la politica, vede tutto il male che può venire oggi dall’affermazione di un Dio schierato e identificato con le guerre e in ultima analisi con la morte. Dall’altra parte il papa è profondamente consapevole che per fondare la convivenza occorre il rispetto delle identità. Niente è più contrario ad esso di una tolleranza che riduce all’insignificanza il contributo della fede nella storia dell’uomo.
Da qui il suo grido: “Quando si nega Dio si uccide anche l’uomo. Quando si esclude Dio dalla società, e non solo dai cuori, si pone la premessa per l’odio, la violenza, la guerra, la distruzione. Quando la ragione pretende di essere lo strumento dell’affermazione dell’uomo come signore della storia contro Dio, si inizia una storia di morte dell’uomo”.
Ecco perché il papa propone il Libano, terra in cui può essere ancora possibile la convivenza e il rispetto reciproco, come un esempio per tutto il Medio oriente, un esempio che sia l’occidente che i settori intolleranti dell’islam hanno cercato di distruggere. Tutte queste sono le ragioni per cui Benedetto XVI, instancabilmente, cerca un dialogo con le comunità che sono maggiormente aperte alle ragioni della convivenza e della costruzione comune.
L’islam occupa una parte rilevante della scena politica mondiale, soprattutto dopo la fine della guerra fredda. È capace di offrire a interi popoli le ragioni per vivere e anche per affrontare la morte. Offre lavoro, legami affettivi importanti. Ma come ogni realtà umana, porta dentro di sé contraddizioni e ferite. Così vediamo milioni di persone contestare nell’islam le promesse di felicità offerte dal capitalismo, cercare una via più rispettosa dell’uomo e dell’esistenza di Dio. Ma nello stesso tempo vediamo frange importanti del mondo musulmano capaci di influenzare la maggioranza di intere nazioni predicando la violenza e scatenando guerre e attentati. In questo contesto drammatico si gioca molto del futuro del mondo. In esso si pone la predicazione e l’opera di papa Benedetto, di cui il viaggio in Libano è stato un momento particolarmente significativo.
Massimo Camisasca, sussidiario.net