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Politica di condizionalità dell’Unione europea allo sviluppo al rispetto dei diritti umani; La tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione europea; Basi giuridiche; Relazioni con i paesi terzi; Finanziamento delle attività di promozione dei diritti umani; Attività del Parlamento europeo.
Aggiornamento 06/10/2011
Politica di condizionalità dell’Unione europea
La tutela dei diritti umani è, a partire dal Trattato di Maastricht, uno degli obiettivi principali delle azioni esterne dell’Unione europea. Per quanto riguarda in particolare la cooperazione allo sviluppo, la promozione dei diritti umani e della democratizzazione costituisce parte integrante dell’impegno dell’UE in favore della riduzione della povertà e della prevenzione dei conflitti.
E’ proprio nel contesto europeo che si è affermata per la prima volta la condizionalità della cooperazione allo sviluppo al rispetto dei diritti umani, concetto con il quale si intende che le politiche e le azioni di sostegno dell’UE allo sviluppo sono condizionate al rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani da parte dei soggetti beneficiari.
Il primo esempio di applicazione della politica di condizionalità risale al 1977 quando l’UE sospese, a seguito di un massacro, gli aiuti forniti all’Uganda nell’ambito della I Convenzione di Lomé; nel 1989 nella IV Convenzione di Lomé fu inserita una clausola che prevede la possibilità di stanziare risorse finanziarie per la promozione dei diritti umani negli Stati ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) con il loro consenso; nel 1990in un accordo di cooperazione con l’Argentina, su richiesta del Paese venne inserita una clausola fondamentale con la quale si afferma che l’accordo è basato sul rispetto dei diritti dell’uomo e dei principi democratici.
Nel corso di successivi aggiustamenti (tra i quali gli accordi con l’Albania nel 1992, con la Romania e la Bulgaria nel 1993), ha preso forma lo strumento principale attraverso il quale l’UE dà attuazione alla condizionalità dei diritti umani, vale a dire la clausola sugli “elementi essenziali”, che dal 1995 figura in tutti gli accordi di associazione e di partenariato e cooperazione, conclusi dall’Unione con i paesi terzi.
La clausola sugli “elementi essenziali”, che si applica attualmente a più di 120 paesi, stabilisce che il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi democratici, sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, informa le politiche interne ed esterne delle Parti e costituisce un elemento essenziale dell’accordo. Una dichiarazione interpretativa, o la clausola stessa, precisa che gli episodi di particolare gravità comportano la violazione di un “elemento essenziale” dell’accordo. Su tale base l’UE può prendere misure diverse, che vanno dal rifiuto del visto per membri del governo o altri responsabili al congelamento dei beni detenuti in paesi membri dell’UE, a cambiamenti dei programmi di cooperazione, compreso il rinvio di nuovi progetti o l’uso di altri canali di fornitura. Ad esempio, l’UE può sospendere la cooperazione con un governo, ma continuare a sostenere la popolazione locale attraverso progetti eseguiti da organizzazioni della società civile. La clausola offre anche la possibilità ultima di sospendere l’accordo.
Il fatto che l’Unione europea insista per incorporare negli accordi le clausole sugli elementi essenziali non significa però che essa intenda seguire un’impostazione negativa o punitiva. Come indicato dalla Commissione nella comunicazione “Il ruolo dell’Unione europea nella promozione dei diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi” (COM (2001) 252) del maggio 2001, scopo di queste clausole è piuttosto favorire il dialogo e le misure positive, come il sostegno comune alla democrazia e ai diritti umani, la ratifica e l’applicazione di strumenti internazionali imperniati sui diritti umani, nonché la prevenzione delle crisi, attraverso l’istituzione di relazioni coerenti a lungo termine. Il dialogo sui diritti umani che queste disposizioni consentono dovrebbe essere a doppio senso e l’UE dovrebbe essere pronta a discutere anche dei diritti umani e della democrazia all’interno dei suoi confini. In conseguenza dell’interesse di entrambe le parti a promuovere i diritti umani, il dialogo dovrebbe servire anche per scambiare opinioni su questioni tematiche quali la pena di morte, la tortura, il razzismo, la xenofobia e i diritti umani delle donne, che possono non applicarsi al paese partner in questione, non da ultimo nell’intento di costituire coalizioni e assicurare sostegno alle posizioni dell’UE in sedi internazionali tra cui l’ONU. Inoltre, il dialogo può permettere anche un utile scambio di opinioni sulla situazione dei diritti umani in altri paesi terzi, soprattutto se i partner dispongono di una conoscenza e una competenza maggiori.
Il ruolo centrale dei diritti umani è particolarmente evidente nel caso dell’Accordo di Cotonou. Si tratta di un accordo commerciale e di aiuti che lega fino al 2020 l’Unione europea a 77 paesi in via di sviluppo dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico – il gruppo ACP. Come previsto dall’articolo 96 dell’accordo, il mancato rispetto dei diritti umani da parte di questi paesi può comportare la sospensione delle concessioni commerciali e la riduzione dei programmi di aiuto. L’Unione europea ritiene infatti che la riduzione della povertà, il principale obiettivo della sua politica di sviluppo, sarà possibile solo nell’ambito di strutture democratiche.
Disposizioni simili esistono anche in altri strumenti finanziari utilizzati dall’UE per fornire assistenza esterna, quali:
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lo strumento di assistenza preadesione (IPA)destinato ai paesi candidati e potenziali candidati;
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lo strumento di vicinato e partenariato (ENPI), destinato ai paesi vicini. In caso di sospensione dell’assistenza deliberata per mancato rispetto dei principi fondanti, il regolamento istitutivo dell’ENPI prevede che l’aiuto comunitario sia utilizzato principalmente per sostenere attori non statali con riferimento a misure volte a promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali e ad appoggiare il processo di democratizzazione nei paesi partner.
Per quanto riguarda invece gli aiuti umanitari, la situazione è diversa. Infatti, il programma dell’UE di assistenza umanitaria di urgenza in tutto il mondo non è di norma soggetto a restrizioni a causa di violazioni dei diritti umani. Gli aiuti erogati in natura, sotto forma di denaro o di assistenza tecnica sono decisi al solo scopo di alleviare la sofferenza umana, sia essa causata da calamità naturali o dalla cattiva amministrazione di regimi oppressivi.
Finora, l’applicazione delle clausole sui diritti umani e la democrazia da parte della UE ha assunto due forme pratiche:
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Istituzione di sottocommissioni incaricate di discutere la promozione dei diritti umani e della democrazia. Tali sottocommissioni sono state istituite nell’ambito degli accordi di associazione con il Marocco, la Giordania e la Tunisia; sottogruppi sui diritti umani sono stati formati anche in seno agli accordi di cooperazione con il Bangladesh (sottogruppo “governance e diritti umani”) e il Vietnam (sottogruppo “cooperazione alla costruzione delle istituzioni, riforme amministrative, governance e diritti umani). Altri sottogruppi sono previsti, per esempio, nell’ambito degli accordi con il Laos e il Pakistan.
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Consultazioni e adozione di misure appropriate in caso di inosservanza dei diritti umani e dei principi democratici. In 14 occasioni sono state intraprese consultazioni per inadempimento della clausola degli elementi essenziali. Reazioni negative nell’ambito delle clausole sui diritti umani e la democrazia sono state registrate solo in seno all’Accordo di Cotonou. Nello specifico, si sono tenute consultazioni in merito alle clausole di non esecuzione dei suddetti accordi con Togo (brogli elettorali: 1998 e democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali: 2004), Nigeria (colpo di Stato: 1999), Guinea-Bissau (colpo di Stato: 1999 e 2004), Comore (colpo di Stato: 1999), Costa d’avorio (colpo di Stato: 2000 e deficit democratico: 2001), Haiti (brogli elettorali: 2000), Fiji (colpo di Stato: 2000), Liberia (violazioni dei diritti umani, dei principi democratici, dello stato di diritto e grave corruzione: 2001), Zimbabwe (violazioni dei diritti umani, dei principi democratici e dello stato di diritto: 2002), Repubblica Centrafricana (colpo di Stato: 2003), e Guinea (deterioramento della democrazia e dello stato di diritto, inosservanza dei diritti umani e delle libertà fondamentali e mancanza di una valida governance economica: 2004). Misure appropriate sono state adottate nei confronti di Togo (sanzioni dal 1993), Haiti (dal 2001), Liberia (dal 2001), Zimbabwe (dal 2002) e Guinea (dal 2005). Oltre a questi 14 casi di consultazione, dal 1989 al 1998 l’UE ha sospeso gli aiuti allo sviluppo, senza far riferimento alla clausola sui diritti umani e la democrazia, nei seguenti casi: Burundi (1993 e 1997), Repubblica Centrafricana (1991), Congo (1997), Gibuti (1991), Guinea equatoriale (1992 e 1994), Gambia (1994), Guinea-Bissau (1998), Haiti (1991), Kenya (1991), Liberia (1990), Nigeria (1996), Ruanda (1994), Sudan (1990) e Togo (1992).
Una forma di condizionalità in materia di diritti umani è prevista anche dal Sistema delle preferenze generalizzate dell’UE che, a partire dal 1971, consente di potenziare le esportazioni di prodotti originari dei paesi in via di sviluppo tramite la concessione di speciali preferenze tariffarie. Il sistema, disciplinato dal regolamento n. 732/2008/CE, prevede, in determinate circostanze, la revoca parziale o totale del regime tariffario preferenziale per prodotti originari di un paese beneficiario, in particolare per violazioni gravi e sistematiche dei principi sanciti nelle principali convenzioni delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) relativi ai diritti dell’uomo e dei lavoratori. Tale disposizione è stata applicata allo Sri lanka (Regolamento di esecuzione (UE) N. 143/2010 del 15 febbraio 2010) per il fatto che lalegislazione nazionale che ingloba il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e la Convenzione sui diritti del fanciullo non era effettivamente applicata.
Nella risoluzione del 16 dicembre 2010 sui diritti umani nel mondo, il Parlamento europeo ha sottolineato l’importanza e il carattere indispensabile delle clausole relative ai diritti umani e alla democrazia negli accordi tra l’UE ed i paesi non UE. La risoluzione invita ad un’attuazione più efficace delle clausole relative ai diritti umani, anche mediante l’introduzione di un meccanismo di attuazione collegato a parametri per misurare l’attuazione degli obblighi in materia di diritti umani. Inoltre il PE:
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· sottolinea l’importanza di seguire da vicino il comportamento in fatto di diritti umani dei paesi non UE che intrattengono relazioni commerciali con l’UE; sottolinea l’opportunità che tale opera di monitoraggio e valutazione comprenda consultazioni formali con la società civile riguardo all’impatto di tali accordi;
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· riafferma il principio della indivisibilità dei diritti umani e condanna i tentativi di considerare questo o quel diritto o motivo di discriminazione meno importante degli altri; invita la Commissione e il Consiglio a rispettare il principio della indivisibilità al momento di negoziare le clausole sui diritti umani con i paesi terzi;
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· sottolinea che, per rispettare i propri impegni internazionali in materia di diritti umani, l’UE dovrebbe includere sistematicamente negli accordi, tenendo conto della natura di questi ultimi e della situazione specifica di ciascun paese partner, clausole relative alla democrazia, alla legalità e ai diritti umani nonché agli standard sociali e ambientali; ritiene altresì che dette clausole dovrebbero permettere alla Commissione di sospendere quanto meno temporaneamente i vantaggi commerciali, compresi quelli derivanti dagli accordi di libero scambio, di propria iniziativa oppure su richiesta di uno Stato membro o del Parlamento europeo, qualora si raccolgano prove sufficienti in merito alla violazione dei diritti umani o delle disposizioni di diritto del lavoro; ritiene in ogni modo che l’UE debba chiaramente indicare quali idonee sanzioni potrebbero essere applicate ai paesi non UE che commettono gravi violazioni dei diritti umani ed applicarle effettivamente; reitera ancora una volta la sua richiesta alla Commissione e al Consiglio, e in particolare all’Alto Rappresentante, di rendere operante la clausola sui diritti umani contenuta nei vigenti accordi internazionali e quindi istituire un meccanismo di applicazione effettiva della clausola, secondo lo spirito degli articoli 8, 9 e 96 dell’accordo di Cotonou;
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· prende atto del funzionamento del sistema di preferenze generalizzate Plus (SPG+); ritiene tuttavia che tale sistema, che premia con notevoli benefici commerciali i paesi che osservano le convenzioni internazionali sui diritti umani e sui diritti del lavoratori, debba essere sorvegliato in modo più rigoroso e trasparente, anche ricorrendo a valutazioni d’impatto particolareggiate sui diritti umani, a un sistema di parametri coerenti ed equi e a consultazioni aperte al momento di accordare la preferenza, e che le preferenze commerciali debbano essere concesse solo ai paesi che hanno ratificato e attuato efficacemente le principali convenzioni internazionali in materia di sviluppo sostenibile, diritti umani – in particolare per quanto riguarda il lavoro minorile – e governance; sollecita un migliore monitoraggio dell’attuazione da parte della società civile, dei sindacati e delle comunità, tenendo in conto i successi e gli insuccessi registrati nell’affermazione dei diritti umani, inclusi i diritti sociali, economici, culturali e ambientali; sottolinea l’importanza di monitorare strettamente l’attuazione del patto sui diritti civili e politici (ICCPR) da parte del Pakistan, che è stato invitato a prendere parte al sistema SPG+;
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· sollecita la Commissione a presentare una proposta di regolamento che vieti l’importazione nell’UE di beni prodotti ricorrendo al lavoro forzato e in particolare al lavoro minorile, in violazione degli standard fondamentali in materia di diritti umani; sottolinea che un tale regolamento dovrebbe consentire all’UE di svolgere indagini su determinate dichiarazioni;
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· deplora il deludente follow-up delle clausole sui diritti umani contenute nell’accordo di Cotonou ed esorta l’Alto Rappresentante, la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a far pieno uso di dette clausole, sollevando sistematicamente i problemi in materia di diritti umani e la promozione degli stessi nei colloqui bilaterali e regionali con i partner ACP.
Uno dei riferimenti più recenti all’applicazione della politica di condizionalità da parte dell’UE è contenuto nella comunicazione di maggio 2011 “Una nuova risposta ad un vicinato in mutamento” (COM (2011) 303), con cui l’AR e la Commissione hanno inteso dare – anche a seguito dei recenti avvenimenti verificatisi nei paesi lungo il bacino meridionale del Mediterraneo – una nuova impostazione alla Politica europea di vicinato. Questa nuova impostazione deve fondarsi sulla responsabilità reciproca e su di un impegno condiviso a favore dei valori universali dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto. Come indicato nella comunicazione,Il sostegno dell’UE ai paesi vicini dipenderà, secondo un approccio “more for more” dai progressi nella costruzione e nel consolidamento della democrazia e dal rispetto dello Stato di diritto: più velocemente un paese progredirà nelle sue riforme interne, maggiore sarà il sostegno da parte dell’Unione europea. Per i paesi in cui non sono state effettuate riforme, l’UE procederà a riesaminare o, se necessario, ridurre i finanziamenti. D’altro canto, l’UE si atterrà alla sua politica di ridurre le relazioni con i governi coinvolti in violazioni dei diritti umani e delle regole democratiche, eventualmente facendo ricorso a sanzioni mirate e ad altre misure politiche.
La tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione europea
Basi giuridiche
Come disposto dagli articoli 2 e 3 del Trattato sull’Unione, l’Unione europea si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.
L’UE, oltre che dalle proprie dichiarazioni sul rispetto dei diritti umani[6], è vincolata nelle sue azioni anche dalla Carta dei diritti fondamentali, proclamata nel 2000 in occasione della Conferenza intergovernativa di Nizza e alla quale il TUE attribuisce lo stesso valore giuridico dei trattati.
La tutela dei diritti umani costituisce dunque un obbligo dell’Unione europea sul piano interno e un obiettivo prioritario nelle relazioni esterne. La politica dell’Unione europea in materia di diritti umani è incentrata sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Essa è volta inoltre a promuovere i diritti delle donne e dei bambini, nonché quelli delle minoranze e degli sfollati. Un’altra priorità è costituita dalla lotta al terrorismo.
Relazioni con i paesi terzi
L’Unione europea ha a disposizione diversi strumenti per promuovere i diritti umani nei paesi terzi, in primo luogo gli strumenti tipici della PESC, vale a dire le decisioni del Consiglio, attraverso le quali vengono imposte misure restrittive – dal divieto di visto per l’ingresso nell’UE al congelamento dei beni eventualmente posseduti in Stati membri – nei confronti dei responsabili di violazioni gravi dei diritti umani (per esempio con la 2011/273/PESC sono state imposte misure restrittive nei confronti della Siria).
Altri strumenti sono quelli tipici della politica estera e diplomazia tradizionale, vale a dire rimostranze diplomatiche e dichiarazioni. Le rimostranze diplomatiche sono in genere di natura confidenziale, condotte dalla Presidenza o dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), spesso attraverso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi. In aggiunta, l’UE può rilasciare, attraverso l’AR, dichiarazioni in cui esprime la propria posizione rispetto ad eventuali violazioni dei diritti umani nei paesi terzi. Anche le conclusioni del Consiglio possono ugualmente affrontare la questioni dei diritti umani. Tali strumenti sono largamente utilizzati per richiamare i governi o altre parti al rispetto dei diritti umani e per manifestare preoccupazioni su diverse questioni, tra le quali la protezione dei difensori dei diritti umani, detenzioni illegali e sparizioni forzate, condanne alla pena capitale, casi di torture, protezione dei bambini e dei rifugiati, diritto a libere elezioni.
Tra gli strumenti adottati dall’UE in materia di tutela e promozione dei diritti umani si segnalano anche le iniziative e gli interventi nei consessi internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dall’OSCE. A questo proposito, si ricordano, in particolare, il ruolo decisivo svolto dall’UE durante l’intero processo di istituzione del Consiglio per i diritti umani nell’ambito delle Nazioni Unite nonché il contribuito fornito per arrivare alla adozione della risoluzione su una moratoria internazionale in materia di pena di morte il 18 dicembre 2007 da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
A tale proposito si ricorda che un importante impulso alle iniziative dell’Unione europea è venuto dall’Italia che, tra l’altro, su mandato del Consiglio, ha collaborato con la Presidenza di turno dell’UE alla redazione della proposta di risoluzione presentata alle Nazioni Unite.
Linee guida
In aggiunta a quelli sopraindicati, nel corso del tempo l’UE ha disegnato nuovi strumenti nell’ambito della PESC, a cominciare da linee guida specifiche adottate per costituire il quadro generale della protezione e della promozione dei diritti umani nei paesi terzi e per consentire, se necessario, di assumere azioni comuni e di condurre interventi rapidi e coerenti in caso di violazioni. Si tratta delle otto linee guida sui diritti umani, dedicate a temi di particolare rilevanza e adottate dal Consiglio a partire dal 1998: pena di morte (1998, aggiornato nel 2008); dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi (2001); tortura e altre pene o trattamenti crudeli disumani o degradanti (2001; aggiornamento del 2008); bambini e conflitti armati (2003, aggiornamento del 2008); difensori dei diritti umani (2004); promozione del diritto umanitario internazionale (2005); promozione e tutela dei diritti del bambino (2007); violenze contro le donne e lotta contro tutte le forme di discriminazione nei loro confronti (2008);
Dialoghi sui diritti umani
Nell’ambito delle sopraindicate linee guida, assumono particolare rilevanza quelle relative ai dialoghi in materia di diritti umani con i paesi terzi, sulla cui base l’UE si è impegnata in dialoghi specifici con diversi paesi (al momento oltre 30).
I temi da trattare nel quadro dei dialoghi sui diritti umani vengono determinati caso per caso. Tuttavia, devono sempre essere toccati alcuni argomenti principali, vale a dire:
– la firma, ratifica e attuazione degli strumenti internazionali in materia di diritti umani;
– la cooperazione con gli strumenti internazionali nel settore dei diritti umani;
– la lotta contro la pena di morte;
– la lotta contro la tortura;
– la lotta contro ogni forma di discriminazione;
– il rispetto dei diritti dei bambini;
– il rispetto dei diritti delle donne;
– la libertà di espressione;
– il ruolo della società civile;
– la cooperazione in materia di giustizia internazionale;
– la prevenzione dei conflitti;
– la promozione della democrazia e la buona gestione degli affari pubblici.
In linea generale, i dialoghi hanno lo scopo di: raccogliere informazioni sulla situazione dei diritti umani nel paese interessato; esprimere le preoccupazioni dell’UE sulle diverse questioni e ad identificare iniziative concrete per risolverle, in particolare attraverso progetti di cooperazione; discutere questioni di reciproco interesse; rafforzare la cooperazione in materia di diritti umani nei forum internazionali. Tali dialoghi possono essere utili anche per esporre ai governi standard internazionali e pratiche dell’UE. In molti casi, essi hanno consentito inoltre di identificare in una fase iniziale problemi che sarebbero potuti sfociare in conflitti.
La decisione di avviare un dialogo in materia di diritti umani con un paese terzo spetta al Consiglio dell’Unione e deve sempre essere preceduta da una valutazione della situazione. Quest’ultima tiene conto dell’atteggiamento del governo rispetto ai diritti umani, dell’impegno del paese riguardo agli strumenti internazionali interessati, della volontà di cooperazione con le procedure delle Nazioni Unite, dell’atteggiamento del governo nei confronti della società civile e dell’andamento della situazione generale in materia di diritti umani. La valutazione è basata sui rapporti in materia realizzati da organizzazioni non governative (ONG), dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni internazionali, dal Parlamento europeo e dalla Commissione europea.
Come indicato nelle linee guida, ogni dialogo sui diritti umani con un paese terzo deve essere valutato, se possibile, una volta l’anno, con l’eventuale partecipazione della società civile. La valutazione tiene conto degli obiettivi che l’Unione si era prefissata prima dell’inizio del dialogo. In base al risultato della valutazione, l’Unione può affinare il dialogo, decidere di proseguirlo tale e quale o porvi fine (se gli obiettivi delle linee direttive non sono raggiunti o se i risultati non sono soddisfacenti).
Finanziamento delle attività di promozione dei diritti umani
Dal 1994 al 2006, l’UE ha finanziato le attività in materia di promozione dei diritti umani, democratizzazione e prevenzione dei conflitti attraverso l’Iniziativa europea a favore della democrazia e dei diritti dell’uomo, un capitolo di bilancio specifico, istituito su iniziativa del Parlamento europeo.
A partire dal 1° gennaio 2007, nell’ambito della riforma dell’assistenza esterna attuata nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013 e volta a sostituire gli strumenti finanziari destinati all’erogazione dell’aiuto ai Paesi terzi con un quadro più semplice ed efficace, l’Iniziativa europea è stata sostituita dallo strumento finanziario per la promozione della democrazia e dei diritti umani nel mondo (Regolamento (CE) n. 1889/2006, del 20 dicembre 2006).
L’assistenza fornita nel quadro di questo strumento mira in particolare:
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ad un maggior rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a promuovere e consolidare la democrazia e le riforme democratiche nei paesi terzi, a fornire sostegno ai difensori dei diritti umani e alle vittime di repressioni e maltrattamenti e a rafforzare la società civile attiva nel settore dei diritti umani e della promozione della democrazia;
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a sostenere e rafforzare il contesto internazionale e regionale in questi ambiti;
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a promuovere la fiducia nei processi elettorali potenziandone l’affidabilità, in particolare mediante missioni di osservazione elettorale e mediante il sostegno alle organizzazioni locali della società civile coinvolte in questi processi.
Per assicurare l’efficacia e la coerenza degli interventi di aiuto, la Commissione garantisce uno stretto coordinamento tra le proprie attività e quelle degli Stati membri. Inoltre, l’assistenza prevista dal regolamento è coerente con la politica comunitaria sulla cooperazione allo sviluppo e con la politica estera dell’Unione europea nel suo complesso nonché complementare a quella erogata nell’ambito dei relativi strumenti comunitari di assistenza esterna e dell’accordo di partenariato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).
L’assistenza è attuata attraverso documenti di strategia e relative revisioni, programmi annuali di azione e provvedimenti speciali (che non sono previsti nei documenti di strategia e che possono essere adottati dalla Commissione). Sono previste anche misure ad hoc, con le quali la Commissione può destinare piccole sovvenzioni a difensori dei diritti umani che necessitino di protezione urgente.
Possono beneficiare di un finanziamento: organizzazioni della società civile, enti, istituzioni e organizzazioni pubblici non a scopo di lucro, organismi parlamentari a livello nazionale, regionale e internazionale. I finanziamenti comunitari possono assumere le forme seguenti: progetti e programmi, sovvenzioni finalizzate al finanziamento di progetti presentati dalle organizzazioni intergovernative internazionali e regionali, piccole sovvenzioni destinate a sostenere i difensori dei diritti umani, sovvenzioni destinate a sostenere i costi operativi dell’Ufficio dell’Alto commissario ONU per i diritti dell’uomo e del Centro interuniversitario europeo per i diritti dell’uomo e la democratizzazione (EIUC), contributi a fondi internazionali, risorse per le missioni di osservazione elettorale dell’UE, appalti pubblici.
La Commissione presenta in una relazione annuale i progressi realizzati nell’attuazione degli interventi di aiuto contemplati dal regolamento indicato. La dotazione finanziaria per la sua attuazione nel periodo 2007-2013 è di 1,104 miliardi di euro.
Attività del Parlamento europeo
La tutela dei diritti umani è una priorità assoluta del Parlamento europeo che, attraverso la commissione per gli affari esteri, si occupa direttamente della tutela dei diritti umani all’esterno dell’Unione. Inoltre,il Parlamento europeo viene informato dal Consiglio riguardo a qualsiasi decisione adottata circa la sospensione di accordi con un dato paese per violazione dei diritti umani.
Il Parlamento europeo dibatte regolarmente durante ciascuna tornata plenaria mensile casi di violazione dei dirittiumani, della democrazia e dello stato di diritto. Nel corso del tempo il Parlamento ha adottato una serie di risoluzioni che condannano i governi responsabili di violazioni deidiritti umani, che valutano la situazione di uno specifico paese in materia di diritti umani o che intervengono su singoli avvenimenti.
Il Parlamento europeo ha, infine, istituito nel 1988 il premio Sacharov per la libertà di pensiero, attribuito, ogni anno ad una personalità o un’organizzazione internazionale che, come il fisico nucleare russo Andrej Sacharov, Premio Nobel per la pace nel 1975, si sia distinta nel settore dei diritti dell’uomo. Il 15 dicembre 2010, il premio è stato attribuito dissidente cubano, Guillermo Farinas, che ha denunciato in tanti modi l’oppressione del regime castrista.
Il Parlamento europeo attribuisce grande attenzione alla situazione dei diritti umani nei diversi paesi, anche quando approva risoluzioni di carattere generale relative alle relazioni dell’UE con il singolo paese, in occasione della conclusione di un accordo o in vista di un Vertice bilaterale.
E’ il caso per esempio della risoluzione adottata il 6 giugno 2011, in vista del Vertice bilaterale UE-Russia di Nizhny Novgorod, in cui il PE esprime il proprio favore a rapporti commerciali e di cooperazione più ambiziosi con la Russia, ma soltanto se il paese offre garanzie sul rispetto dei diritti umani fondamentali, compresi i “giudizi di matrice politica” contro i leader dell’opposizione, mancanza di libertà dei mezzi d’informazione, divieto di cortei gay e occupazione militare illegale di territori georgiani.