20 proposte di governo dalle professioni tecniche

idee LE PRIMARIE DELLE IDEE per la rinascita dell’Italia

7-8-9 Settembre 2012 CHIANCIANO TERME

Il documento presenta 20 proposte di governo promosse dalle professioni tecniche: rigenerazione urbana, infrastrutture, enti locali, agricoltura, ICT, sicurezza.

1. Recuperare e valorizzare dei beni immobili confiscati alla criminalità. A fine 2011, secondo i dati dell’Agenzia Nazionale, il totale dei beni confiscati alla criminalità organizzata ammonta a 10.225 beni immobili e a 1.480 aziende. Il 67% dei beni confiscati ha già avuto una destinazione finale mentre la quota restante, il 33% è ancora in attesa di destinazione. Anche a fronte di una destinazione ufficiale, solo il 31% dei beni immobili consegnati e trasferiti al patrimonio indisponibile degli Enti territoriali è stata destinato a finalità sociali con quote significativa attribuite ad associazioni (17,4%) e ad alloggi per indigenti (14,3%). L’ingente quantità di beni confiscati alla criminalità organizzata potrebbe costituire quindi una straordinaria risorsa e opportunità per la Pubblica amministrazione centrale e locale non solo per restituire alla collettività questa tipologia di beni immobili ma anche per un riuso da parte delle istituzioni stesse producendo una importante misura di razionalizzazione della spesa pubblica.

2. Sbloccare gli investimenti programmati dalle Concessionarie autostradali In Italia c’è una riserva di investimenti inutilizzata destinata al potenziamento e all’ammodernamento della rete autostradale gestita dalle concessionarie e previsti nei piani di concessione Anas. Solo una quota minoritaria del volume complessivo di spese previsto nei piani del 1997 e successivamente in quelli del periodo 2002-2004, e su cui le concessionarie si sono impegnate con i governi del passato è stato realizzata. Il blocco degli investimenti non dipende da crisi di liquidità o difficoltà economiche; le concessionarie autostradali, infatti, trascorso oltre un decennio dalle privatizzazioni continuano a beneficiare di una elevata redditività ben oltre quanto originariamente previsto in fase di concessione iniziale, grazie ad un sistema tariffario premiante che garantisce alti pedaggi anche a prescindere dagli investimenti per migliorie o per il potenziamento delle capacità di trasporto. Lo stock di investimenti che manca all’economia nazionale è nell’ordine di circa 20 miliardi di euro, gran parte dei quali come recentemente ed assai autorevolmente evidenziato dal Governatore della Banca D’Italia Mario Draghi, nell’ultima relazione annuale, sono attribuibili alla principale concessionaria autostradale, vero e proprio soggetto dominante il sistema autostradale italiano con i 2/3 della rete.

3. Sbloccare gli investimenti nelle infrastrutture aeroportuali. Il sistema aeroportuale italiano soffre di un deficit di investimenti. Nonostante l’innalzamento delle tariffe aeroportuali per ogni passeggero, le attuazioni dei piani di investimento restano al palo. Non si tratta solo di potenziare la capacità di assorbimento di volumi di traffico crescenti, ma fornire ai passeggeri servizi soddisfacenti. In primo luogo per diminuire i tempi necessari per gli imbarchi e transiti, ma anche per adeguare le strutture sotto il profilo architettonico. Sul processo di attuazione degli investimenti aeroportuali gravano però due problemi: il reperimento delle risorse necessarie per gli investimenti stessi e l’eccessiva lunghezza delle procedure per l’approvazione dei contratti di programma che regolano l’esecuzione delle opere anche dove i finanziamenti sono già disponibili. E si tratta di risorse davvero elevate. Si potrebbero sbloccare, se si considerano solo gli aeroporti di Roma, Milano e Venezia di quasi 5 miliardi di euro.

4. Escludere dal “patto di stabilità” le spese di investimento degli enti locali Il patto di stabilità interno è quello strumento che garantisce, attraverso la definizione delle “regole fiscali” nelle manovre di finanza pubblica, il controllo del livello di indebitamento di Regioni, Province e Comuni. Tuttavia, è uno strumento che limita la capacità di investimenti degli enti anche nel caso in cui si abbiano le risorse a disposizione per poterli fare. Secondo il Centro Studi Ance1,, che si è basato sui dati forniti dalla Corte dei Conti nel 2010 “l’irrigidimento del patto di stabilità ha provocato una riduzione del 18,5% della spesa in conto capitale degli enti locali rispetto all’anno precedente”. Che significa in termini assoluti una contrazione di 7 miliardi di euro. È, pertanto, necessario rivedere tutti gli elementi distorsivi del patto che bloccano gli investimenti e rimettere in circolo tutte le risorse “bloccate”.

5. Accrescere l’efficacia e l’efficienza del sistema delle opere pubbliche. Nonostante il continuo intervento del legislatore, il settore dei lavori pubblici registra sempre più frequenti sintomi di inefficienza, ritardi, sprechi. Il quadro delle norme è talmente complesso che le stazioni appaltanti sono spesso tentate a ricorrere a procedure “emergenziali” che favoriscono il manifestarsi di comportamenti collusivi e devianti. Ad accrescere il disagio nel settore ha contribuito, in particolare, il venir meno della netta separazione tra attività di progettazione ed esecuzione delle opere sancita dalla versione originaria della Legge 109/1994. Occorre quindi separare le attività di progettazione da quelle di costruzione eliminando tutti i conflitti di interesse esistenti nelle società , anche pubbliche, che operano nel sistema selle costruzioni; proteggere e promuovere le prospettive ed il lavoro dei giovani attraverso meccanismi che ne garantiscano il ruolo sia autonomo che all’interno delle società professionali, anche di capitale; indirizzare le importanti e qualificate risorse umane presenti nell’area tecnica della pubblica amministrazione solo verso le attività di programmazione, gestione e, soprattutto, controllo, facendo così crescere una qualità dell’azione amministrativa in grado di fare sistema con la parallela necessaria crescita di una qualità dell’azione tecnica in campo professionale, si cui gli Ordini possono divenire motore e garanzia.

6. Rilanciare le infrastrutture e i servizi portuali. L’Italia è un Paese con circa 8000 km di costa. E i suoi porti commerciali e turistici significano ricchezza e sviluppo, solo se funzionano in maniera ottimale. Per lo sviluppo della portualità commerciale è indispensabile, quindi, programmare al meglio i dragaggi. È nello stesso tempo è fondamentale ottimizzare gli interporti per rispondere adeguatamente ai futuri flussi commerciali navali. Del resto, i temi del dragaggio e degli interporti sono correlati: dragare un porto significa consentire l’ingresso di navi più grandi. Che vuol dire, in sostanza, flussi maggiori di merci e, quindi, maggiori incassi. Per i porti turistici bisogna favorire, invece, nel rispetto dell’ambiente: l’aumento di posti barca; l’utilizzo delle aree portuali dismesse o sub-utilizzate e il miglioramento dei servizi. Ci sarebbero poi indubbie ricadute per l’indotto che spazia dalla cantieristica, ai servizi, alle forniture di bordo, e alla ristorazione.

7. Mitigare e ridurre i rischi naturali. Gli eventi naturali possono trasformarsi in disastri con enormi perdite di numerose vite umane. Uno dei principali compiti tecnici è realizzare opere in grado di ridurre le conseguenze di questi eventi. Il terremoto è l’evento naturale più temuto, per la sua imprevedibilità ma di per se non fa morti. Le vittime sono conseguenza dei crolli, degli incendi e dei dissesti che le strutture non sono in grado di fronteggiare. Il terremoto non può essere evitato, però possono ridursi i rischi di crollo. Nelle nuove costruzioni le tecnologie e i materiali attuali permettono di realizzare opere in grado di rispondere adeguatamente, anche alle sollecitazioni più violente. Più laborioso e complesso, invece, è il problema del costruito esistente. Sarebbe auspicabile che il cittadino avesse consapevolezza delle condizioni di rischio della propria costruzione, in maniera da indurlo ad apportare miglioramenti ogni volta che la costruzione è oggetto di manutenzione. Spingerlo, tramite un’adeguata incentivazione a eseguire opere di miglioramento e/o di adeguamento, anche per parti, della sua costruzione. Anche nel corso di vari anni e attraverso una serie successiva di interventi preventivamente studiati e programmati.

8. Delocalizzare e mettere in sicurezza le abitazioni residenziali dalle zone a forte rischio idrogeologico Come è tristemente noto, il nostro paese presenta numerose aree a forte rischio di dissesto idrogeologico e sono numerosi anche gli insediamenti abitativi realizzati in queste aree. Secondo il Ministero dell’Ambiente circa 6.700 comuni (82% del totale) sono interessati da almeno un’area ad alta criticità idrogeologica. Si tratta, per dare un idea delle grandezze interessate, di circa di 30 mila Kmq di aree a rischio (un’area più grande di tutta la Sicilia) ossia il 10% di tutto il territorio italiano. E gli effetti di questo dissesto sono sotto gli occhi di tutti. Dal 1950 ad oggi si possono contare 1.500 vittime per dissesti idrogeologici ed il costo totale dei danni provocati, è pari a 52 miliardi di euro (rivalutati). Secondo l’attuale ministro dell’Ambiente Corrado Clini, negli ultimi vent’anni i danni da dissesto idrogeologico sono costati, in media, circa 2,5 miliardi di euro all’anno. Sempre secondo il ministro sono necessari circa 40 miliardi di euro, da stanziare nei prossimi 20 anni, per la messa in sicurezza del territorio. Una delle strade percorribili riguarda quella della delocalizzazione. «Sulla base dei dati disponibili là dove emerge con chiarezza che persistono rischi per insediamenti produttivi o abitativi deve essere presa in considerazione una misura di prevenzione prima che il disastro avvenga». Anche se «Il termine delocalizzazione può apparire ”esagerato” a disastro avvenuto ci sono comunque intere aree che vengono evacuate e nelle quali spesso non si torna più a causa delle condizioni idrogeologiche. (…)». Potrebbe, ad un primo esame sembrare quasi un azzardo, o una proposta antieconomica ma nell’arco di 20 anni si possono realizzare, con questi impegni di spesa a totale carico pubblico, circa 600 mila abitazioni, al di fuori di aree a rischio. Con ulteriori opportuni incentivi alla compartecipazione dei proprietari nel senso di una maggiore autoresponsabilizzazione, tale numero potrebbe notevolmente crescere. Oltre a rappresentare un enorme vantaggio per l’incolumità dei cittadini, questa proposta aggiunge linfa ad un settore, quello delle costruzioni, che sta attraversando una delle più grandi crisi degli ultimi decenni.

9. Promuovere il riutilizzo del territorio. E’ necessaria una legge nazionale che incentivi in maniera consistente il riuso delle aree industriali e la demolizione e ricostruzione delle aree residenziali degradate. Le leggi locali (piano casa e altri strumenti) non hanno funzionato. Bisogna avere più coraggio in questa direzione perché vi sia una reale convenienza all’intervento (defiscalizzazioni, cessione in comodato sia delle strutture industriali dismesse sia dei suoli liberi per l’insediamento di nuove strutture che non avrebbero il costo iniziale dell’acquisto del suolo). In questo modo si eviterebbe l’utilizzo di altro territorio ma al tempo stesso si rivitalizzerebbero zone attualmente degradate. Tutto quanto porterebbe anche alla nascita di un patrimonio edilizio moderno, adeguato a tutte le norme sia di sicurezza che di risparmio energetico.

10. Rigenerare le città. Proponiamo un programma di rigenerazione sostenibile delle città, dove vivono il 70% degli italiani e si produce l’80% del Pil nazionale, per affrontare il decadimento dello stato dell’edificazione esistente privata e pubblica, l’adeguamento a standard di sicurezza ed energetici, il restauro dei beni culturali, il recupero degli spazi pubblici e del verde, l’innovazione delle reti tecnologiche. La codificazione immediata di strumenti normativi – dalla legge nazionale urbanistica alla perequazione – e fiscali, con bonus di volumetria per chi interviene rigenerando case e quartieri ponendo a zero il consumo del territorio, anche con l’emissione di eco-bond e ponendo requisiti di sostenibilità ambientale dei progetti così come nei bandi di vendita del patrimonio pubblico, a fronte dei quali abbassare il costo degli oneri di urbanizzazione. Così, dall’edificio rigenerato e tecnologicamente innovato, si avvierebbe il processo di risparmio delle risorse, energetiche e idriche, della razionalizzazione del ciclo dei rifiuti, di tecniche costruttive innovative che favoriscano l’eccellenza dell’industria italiana, della la riqualificazione di strade e quartieri favorendo la coesione sociale.

11. Presidiare e promuovere i monumenti, il paesaggio e la legalità Proponiamo un progetto vero di salvaguardia ambientale e paesaggistica, mettendo a frutto i valori unici del patrimonio culturale e paesaggistico italiano, anche in funzione turistica. Affiancare a un chiaro sistema di vincoli, progetti di sviluppo sostenibile, non invasivi, culturalmente attraenti, promuovendo il turismo culturale e agricolo, mettendo in rete i borghi storici, vera ricchezza nazionale, in un sistema nazionale di museo diffuso, collegati virtualmente in un sistema unico, didattico e di ospitalità. La rete degli Ordini è pronta ad essere un presidio di sicurezza al servizio del Paese, per monitorare lo stato dei beni monumentali e le condizioni di sicurezza degli edifici e del territorio, oltre ad essere presidio di legale segnalare e contrastare l’abusivismo edilizio, così come le infiltrazioni mafiose negli appalti.

12. Rottamare gli impianti elettrici delle unità abitative. Secondo un’indagine Censis si stima che nel 2011, in Italia vi siano: 6 milioni 880 mila abitazioni (31,8%) con impianti considerabili pienamente a norma; 6 milioni 600 mila (30,5%) con impianti sostanzialmente a norma, ossia con requisiti minimi di conformità e 8 milioni (37,7% del totale) con impianti sicuramente non a norma. Vale a dire che un terzo delle famiglie italiane vive in una situazione di rischio potenziale. Ogni anno si registrano più di 241 mila incidenti per cause elettriche con conseguenze nel 66% dei casi sulle persone, sulle abitazioni o sugli oggetti ed impianti interessati dall’incidente. Quali sarebbero gli effetti di leggi per incentivare la rottamazione degli impianti elettrici? Con incentivi al 45% dei costi relativi al rifacimento o miglioramento dell’impianto elettrico è lecito attendersi: un aumento di circa 2 milioni nel numero di interventi sugli impianti elettrici previsti dalle famiglie; una riduzione di oltre 3 mila 500 infortuni all’anno; un incremento del giro d’affari di 6 miliardi di euro l’anno; una crescita del numero delle imprese installatrici di circa 2 mila 800 unità e un aumento dell’occupazione pari a 9 mila addetti; un gettito fiscale aggiuntivo di 505 milioni di euro, pari a circa il 71% del costo del contributo a carico dello Stato.

13. Introdurre il Fascicolo del fabbricato. Si stima che il patrimonio delle famiglie italiane sia di 8.600 miliardi di euro e i beni immobili rappresentano più della metà di questa ricchezza. Ma del patrimonio edilizio del nostro Paese, (per oltre il 50% formato da edifici storici), non si conosce nulla: né l’effettiva consistenza volumetrica, né lo stato di conservazione dei materiali. Non esiste, infatti, uno strumento a disposizione delle amministrazioni pubbliche che mette nero su bianco tutti i singoli interventi edilizi, effettuati su un intero fabbricato. Di conseguenza è impossibile monitorare e mettere in relazione le modifiche che nel tempo hanno stravolto il sistema strutturale, e che è causa spesso di crolli e disastri. Ecco perché è necessario e urgente introdurre il Fascicolo del fabbricato, un documento tecnico nel quale sono contenute tutte le informazioni relative allo stato di agibilità e di sicurezza di un immobile, sotto il profilo della stabilità, dell’impiantistica e della manutenzione. Il Fascicolo del fabbricato, debitamente aggiornato, è presupposto per il rilascio di autorizzazioni o certificazioni di competenza comunale relative all’intero fabbricato ma anche a singole parti dello stesso.

14. Accrescere la sicurezza delle reti e dei servizi dell’ICT a partire dalla Pubblica amministrazione Secondo l’ultima relazione dell’AVCP il valore dei contratti pubblici aggiudicati nel 2010 relativamente ai servizi informatici (consulenza, sviluppo di software, Internet e supporto) è stato pari a 2,4 miliardi di euro, poco più di un quinto del valore complessivo dell’intero mercato dei servizi It in Italia che lo stesso anno ha raggiunto 12 miliardi di Euro. La spesa pubblica destinata a servizi software direttamente sostenuta dalle amministrazioni pubbliche con bandi di gara competitivi continua ad essere dunque un importante volano per orientare le dinamiche di crescita e sviluppo del settore Ict In Italia. I troppi tilt informatici a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi (dalle poste, alla sanità, dalla borsa al sistema della posta certificata ecc – su cui potrebbe essere utilmente avviata una attività di osservatorio indipendente) evidenziano però un deficit di capacità di collaudo e verifica degli stessi sistemi proprio per la mancanza di vere terze parti cui affidare questa tipologia di incarichi. La PA deve quindi attrezzarsi in primo luogo per gestire i processi di acquisito di servizi It: dalla definizione dei requisiti e delle specifiche sino alla gestione delle gare e degli appalti dotandosi di figure professionali specialistiche da attrarre dentro la Pubblica amministrazione, a partire dagli ingegneri dell’informazione. La PA deve, poi, prevedere e formalizzare un’attività effettiva di collaudo di tutti i sistemi e infrastrutture Ict a tutela degli interessi dell’amministrazione e della collettività, affidandola a tecnici professionisti qualificati e indipendenti e quindi in primis agli ingegneri dell’informazione iscritti all’albo professionale, ancorché dipendenti della PA. Queste attività oggi invece sono quasi sempre appaltate alle stesse società fornitrici dei servizi software e dei servizi di rete, col risultato che si assiste spesso a gare per forniture sovradimensionate o non adeguate alle reali necessita della Pa e notevoli deficit di sicurezza e resilienza nei sistemi software e di rete.

15. Semplificare le norme e dematerializzare le procedure. Il costo della burocrazia italiana è calcolato in 14 miliardi l’anno. È fonte di malaffare e ostacolo allo sviluppo. Bisogna istituire un tavolo tra professioni tecniche, Governo, Regioni e Comuni per rivedere in 6 mesi il testo unico per l’edilizia e l’insieme della normativa di settore per razionalizzare e semplificare le regole dando certezza agli operatori, agli investitori e agli erogatori dei finanziamenti. Gli architetti mettono a disposizione del Paese In@materia, la scrivania digitale studiata con il Ministero dell’Innovazione, che digitalizza e rende immateriale tutte le documentazioni edilzie ed urbanistiche, permette agli operatori di seguire in tempo reale le pratiche, rende possibili le conferenze di servizi on line superando i tempi morti della risposta dei diversi Enti (Comuni, Provincie, Regioni, ASL, VVFF, Sovrintendenze, Comunità Montane, ARPA, ecc). Il medesimo sistema è applicabile agli appalti pubblici ed ai Concorsi di architettura, riducendo drastiacamente i costi e i tempi, rendendo trasparente il processo.

16. Devoluzione, sussidiarietà e integrazione per migliorare La P.A. nazionale e regionale non riesce più’ da tempo a svolgere tutte le competenze che le sono proprie, per carenza di adeguate professionalità o di personale. Con la stipula di protocolli di intesa con ordini e collegi professionali la P.A. potrebbe integrare i propri organici, attribuendo, sotto il suo controllo, alcune “funzioni” a professionisti giovani, selezionati con criteri oggettivi e che verrebbero retribuiti secondo parametri prestabiliti. Ne guadagnerebbe in efficienza tutto il sistema. Le Amministrazioni centrali sono anche deficitarie nell’emanazione di bandi europei (condizione necessaria per poter impiegare fondi UE). Sempre in accordo con ordini e collegi professionali, i professionisti selezionati sarebbero in grado di aiutare le Amministrazioni a redigere i bandi o applicare determinate disposizioni. Questo consentirebbe di avere a loro disposizione maggiori risorse economiche, che altrimenti andrebbero perse o spese in tempi più’ lunghi.

17. Fare dell’agricoltura il motore dello sviluppo e della qualità della vita europea. A seguito della crescita della popolazione mondiale e dello sviluppo degli insediamenti entro il 2025 si ipotizza che andranno persi, per l’impermeabilizzazione dei suoli, dai 30 ai 40 milioni di ettari di superfici agricole. In questo scenario è necessario ripensare i modelli di sviluppo per un’agricoltura di qualità. Si ha bisogno di: un piano per favorire più efficacia nel rapporto salute/cittadino/consumatore, perché quando il prodotto alimentare è in commercio, conta “cosa contiene e cosa ingeriamo”; un programma per valorizzare l’ “Italia turistica” con una maggiore attenzione al turismo ambientale localizzato anche in zone geografiche attualmente poco popolate e con scarse attività che generano reddito; applicare all’ambiente, le tecnologie più razionali nel produrre energie da fonti non fossili, rispettando, però, gli ecosistemi da impianti che costituiscono veri e propri sfregi al contesto in cui sono ubicati; programmi di micro-coltivazioni in ambiente cittadino, che oltre ad essere fonte di produzioni familiari salubri, costituiscono benessere psico-fisico per quanti vivono in città; costituire un fondo pubblico per favorire i giovani agricoltori nel subentro nella impresa agricola ed i giovani professionisti nell’inizio della attività.

18. Promuovere la sicurezza alimentare. In un momento in cui la crisi economica investe molti settori, la sicurezza alimentare appare un punto fermo della società ed una imprescindibile richiesta del consumatore. Un tema particolarmente sentito la cui allerta è tenuta sempre ai massimi livelli anche a fronte delle frequenti emergenze. Anche se il comparto alimentare sembra soffrire la crisi in modo più attenuato rispetto alle altre realtà, occorre puntare sulla ricerca e sull’innovazione per fornire anche in questo settore un contributo reale alla crescita. Come tutte le altre professioni, anche i tecnologi alimentari assumono su di sé delle responsabilità etiche, la difficoltà costante è la ricerca del giusto compromesso fra spinta innovativa voluta dalle realtà produttive, e cautela richiesta dal mondo dei consumatori. In tutto questo la formazione sia di base che continua assume un ruolo primario e non trascurabile, che sancisce la capacità del professionista a proporsi come garanzia terza. Proprio tale ruolo va valorizzato al fine di garantire al consumatore la massima garanzia sulla qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari.

19. Costruire le reti interprofessionali e internazionalizzare. Bisogna favorire con strumenti normativi e fiscali la creazione di reti tra professionisti per rendere sinergiche e più concorrenziali le varie strutture professionali. La realtà italiana dei singoli professionisti e dei piccoli Studi sul territorio non è, infatti, un peso ma una risorsa: il sapere artigianale deve essere, pertanto, messo a sistema, a basso costo, tra colleghi e con altre professionalità, in modo che si possa operare nei micro mercati così come nei grandi progetti e all’estero. Anche per questo bisogna aiutare e promuovere, tramite la rete diplomatica, i professionisti sui mercati esteri, all’interno di un Sistema Italia che renda sinergiche professioni, industria e commercio, anche creando una agenzia di sostegno e consulenza per l’accesso ai fondi comunitari.

20. Promuove l’innovazione, la ricerca e i talenti. E’ necessario favorire con strumenti fiscali l’innovazione tecnologica degli Studi professionali, perché le strumentazioni tecniche siano all’altezza della sfida della sostenibilità e della gestione complessa dell’edilizia e dell’urbanistica. Bisogna anche incentivare le relazioni tra progettisti e industria, con la creazione di “banche delle idee” per promuovere la ricerca e i giovani talenti, per rinnovare le qualità del “made in Italy” e mantenerlo concorrenziale nel mondo. Per questo anche il sistema degli appalti pubblici deve essere uno strumento di selezione e promozione delle eccellenze e del merito, non del massimo ribasso, investendo sui talenti migliori del Paese per farli crescere per un habitat futuro migliore.

 

 

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