Un’idea per salvare gli atenei da inefficienza e clientelismi

laurea Un’idea per salvare gli atenei da inefficienza e clientelismi. Nessuna università italiana è nel topmondiale

Nell’economia della conoscenza il sistema universitario riveste un ruolo fondamentale nel forgiare il capitale umano, principale fattore dello sviluppo socio-economico. Rafforzarlo significa sostenere la crescita. Ecco, quindi, la nostra proposta, che punta a ridurre al tempo stesso la spesa pubblica e la disoccupazione dei giovani cervelli.

Il sistema universitario italiano – è noto – si è sviluppato in un contesto normativo privo di quei meccanismi competitivi che, da una parte, stimolano il miglioramento e la differenziazione qualitativa e, dall’altra, rappresentano un antidoto alle pratiche clientelari.

Pur in assenza di università dedicate solo all’insegnamento, nelle scienze dure circa il 25% dello staff accademico (9700 unità) non produce alcun avanzamento scientifico, mentre il 23% ne produce il 77% del totale. Gli improduttivi non solo mantengono il proprio posto di lavoro, ma addirittura una retribuzione equivalente a quella dei migliori. Questi ultimi, poi, a differenza di quanto avviene in altri sistemi quali quelli anglosassoni, non sono concentrati in poche università, ma distribuiti, insieme con gli improduttivi, in modo più o meno uniforme, tra tutte le università pubbliche. Non è un caso che nessuna delle pur discutibili classifiche internazionali collochi un’università italiana al di sopra della 150ª posizione.

Molto più grave, inoltre, è il mancato impatto sulla crescita culturale e socio-economica, nonché sulla mobilità sociale, che università cosiddette «world-class» avrebbero sul sistema Italia.

Il modo più efficace e rapido per rafforzare il sistema universitario italiano sarebbe quello di creare poche università «spin-off», distribuite uniformemente per area geografica, in cui concentrare i migliori talenti oggi dispersi nell’intero sistema ricerca. Come accade in altri Paesi, queste «università top» potrebbero sviluppare in breve tempo una reputazione in grado di calamitare altri docenti di talento, i migliori studenti, il management più capace e abbondanti risorse, dall’Italia e dall’estero.

I risultati della ricerca e la qualità dei laureati attirerebbero sul territorio imprese high-tech e capitale di rischio in misura molto maggiore di quanto non accada al momento con le università indifferenziate, inducendo così tassi di sviluppo economico che studi su casi stranieri dimostrano nettamente superiori alla media nazionale.

Abbiamo simulato la creazione di un’università «spinoff », costituita dagli accademici più produttivi delle tre maggiori università romane – Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata e Roma Tre – e con le facoltà di matematica, fisica, chimica, scienze della Terra e ingegneria: questa istituzione si classificherebbe al primo posto in Italia per produttività di ricerca, tra le 83 attive nelle medesime discipline, con un valore superiore del 75% rispetto a quello della prima università pubblica e pari al triplo della media nazionale.

La produttività media dello staff di ricerca (su una scala da 0 a 100) sarebbe 89 contro 70 della migliore università italiana e 49 della migliore romana.

Il 59% dei 247 accademici della nuova università si collocherebbe al top 10% per produttività scientifica, mentre nella migliore università pubblica (una delle sei Scuole Superiori) la percentuale non supera il 32%. Il costo di un’operazione simile sarebbe minimo, trattandosi di meri trasferimenti, che permetterebbero, quindi, l’utilizzazione di infrastrutture che sono già esistenti.

Introducendo, poi, incentivi retributivi in funzione del merito e il taglio del personale improduttivo, si libererebbero risorse che potrebbero essere impiegate in parte per ridurre il debito pubblico e in parte per finanziare l’ingresso delle giovani menti più brillanti, che oggi non trovano altro sbocco se non quello di rafforzare, emigrando, i sistemi universitari stranieri.

  

GIOVANNI ABRAMO E CIRIACO A. D’ANGELO, Ingegneri, co-fondatori del Laboratorio di studi sulla ricerca e il trasferimento tecnologico all’Università di Roma Torvergata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *