Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: “Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929”.
Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati.
Quelli che abitano il Palazzo mi sembrano sempre più dei marziani. La crisi galoppa, la finanza sta spolpando quel che resta della sovranità degli Stati, l’economia reale dell’Europa dà segni lampanti di crac ma i partitanti sono concentrati sulle elezioni anticipate, cioè sul come far finta di staccare la spina a Monti sapendo che non ci sono alternative al professore.
Si possono usare tutte le formule alchemiche, ma i fatti sono più forti di qualsiasi visione: l’Italia ha votato un Patto di bilancio europeo che prevede l’abbattimento del rapporto debito/pil al 60%, ha vincolato per l’eternità i governi al pareggio di bilancio e ha la pressione fiscale più alta del mondo.
Un sistema dei partiti in caduta libera, in grave crisi di credibilità, senza leader che abbiano l’autorevolezza per convincere gli italiani che la vita a debito è finita, in queste condizioni dovrebbe fare altro.
Per esempio pensare alla Fiat che potrebbe decidere di spostare all’estero la sua produzione e chiudere i conti con un Paese che non ha una politica industriale, come ha spiegato bene sul Sole 24Ore l’altro ieri l’ingegner Carlo De Benedetti. Oppure potrebbe dare una mano al ministro dello Sviluppo Passera che è molto loquace, ci parla del futuro ma è a corto di idee sul presente in cui vive.
Invece no, l’agenda parlamentare è satura di imperdibili discussioni sul voto anticipato e improbabilissime riforme presidenzialiste. Avanti così, l’iceberg è all’orizzonte.
Ancora una volta, consiglio la lettura de «Il Grande Crollo» di John Kenneth Galbraith, il racconto della crisi del 1929 e del crac di Wall Street. Ecco un passaggio illuminante: «Nell’autunno del 1929 gli americani più potenti si rivelarono, per un attimo, esseri umani. Come la maggioranza degli uomini il più delle volte, fecero cose molto stupide. In genere, quanto maggiore era la fame di onniscienza prima goduta, quanto più serena la precedente idiozia, tanto più grande fu la stupidità ora messa in luce. Cose che in altri momenti restavano nascoste da una pesante facciata di dignità erano ora messe a nudo, perché il panico aveva fatto dileguare quella facciata d’improvviso, in modo quasi osceno. Raramente ci è concesso uno sguardo oltre quella barriera; nella nostra società l’equivalente delle mura del Cremlino è il pallone gonfiato. Lo studioso di storia sociale deve essere sempre attento alle occasioni che gli si presentano, e ce ne sono state poche come il 1929».
Chiudete gli occhi, non pensate al 1929 ma al 2012 e ai mesi che verranno. Sono sicuro che li vedete anche voi, i palloni gonfiati. Sono quelli che si perdono in polemiche da quattro soldi (solitamente i loro) mentre nel mondo accadono cose che scombinano le nostre vite.
Mi ha colpito il presidente onorario di Citigroup, Sandy Weill, che ieri ha detto chiaramente che bisogna separare l’ investment banking dal banking. Chi specula con la finanza fa un mestiere diverso da chi prende i depositi e poi li impiega per le imprese e le famiglie. Sono attività inconciliabili. E anche in Italia sono confuse e pericolose, intrecciate e tossiche. Servono la speculazione, non l’economia reale. Le mega banche vanno smontate. Se ne occupa qualcuno in Parlamento? O vogliamo andare avanti sognando le elezioni anticipate con l’orchestrina che suona sul ponte del Titanic?
Mario Sechi, Il Tempo